Per tre anni l’Unione Europea si è svenata per
salvare le banche tedesche, ma nessuna autorità monetaria italiana si è permesso
di denunciarlo in pubblico - nonché di ostacolare il salvataggio (ma questo è
un altro discorso, bisogna tornarci su). L’effetto annuncio
è sempre stato particolarmente incisivo in materia monetaria e finanziaria.
L’opinione italiana bizzarramente lo trascura, mentre è usato con virulenza, e
anche con violenza, a Berlino. Soprattutto contro l’Italia.
In
materia di moneta la discrezione è sempre stata d’obbligo, e più tra i diretti
responsabili, i vertici delle banche centrali e i ministri del Tesoro e delle
Finanze. Ogni loro dichiarazione influenza i mercati. La regola è nota a tutti,
e tutti si comportano di conseguenza: se un ministro del Tesoro o un presidente
di banca centrale dice che qualcosa non va, non si sta a discutere, si agisce
di conseguenza. Tanto più con questa Bundesbank, il cui presidente Weidmann è
solo un impiegato di Angela Merkel, uno della sua segreteria che aveva un
diploma in Economia, nemmeno la laurea.
Da
quattro anni ormai (il libro “Gentile Germania” documenta la prassi a cadenza
alternata quindicinale), Weidmann e Schaǔble, il ministro delle Finanze,
trovano sempre un motivo per allarmare i mercati sull’Italia. Il lavoro è poco
flessibile. C’è troppa disoccupazione. C’è troppa
evasione. Il debito cresce. La produttività ristagna. I beni pubblici non si
vendono. Le riforme non decollano. Dove non il fatto in sé conta: nessuno va a
vedere la flessibilità e le “riforme”. Ma conta l’autorevolezza della critica.
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