venerdì 4 luglio 2014

Guerra all’Italia, a settimane alterne

Per  tre anni l’Unione Europea si è svenata per salvare le banche tedesche, ma nessuna autorità monetaria italiana si è permesso di denunciarlo in pubblico - nonché di ostacolare il salvataggio (ma questo è un altro discorso, bisogna tornarci su). L’effetto annuncio è sempre stato particolarmente incisivo in materia monetaria e finanziaria. L’opinione italiana bizzarramente lo trascura, mentre è usato con virulenza, e anche con violenza, a Berlino. Soprattutto contro l’Italia.
In materia di moneta la discrezione è sempre stata d’obbligo, e più tra i diretti responsabili, i vertici delle banche centrali e i ministri del Tesoro e delle Finanze. Ogni loro dichiarazione influenza i mercati. La regola è nota a tutti, e tutti si comportano di conseguenza: se un ministro del Tesoro o un presidente di banca centrale dice che qualcosa non va, non si sta a discutere, si agisce di conseguenza. Tanto più con questa Bundesbank, il cui presidente Weidmann è solo un impiegato di Angela Merkel, uno della sua segreteria che aveva un diploma in Economia, nemmeno la laurea.
Da quattro anni ormai (il libro “Gentile Germania” documenta la prassi a cadenza alternata quindicinale), Weidmann e Schaǔble, il ministro delle Finanze, trovano sempre un motivo per allarmare i mercati sull’Italia. Il lavoro è poco flessibile. C’è troppa disoccupazione. C’è troppa evasione. Il debito cresce. La produttività ristagna. I beni pubblici non si vendono. Le riforme non decollano. Dove non il fatto in sé conta: nessuno va a vedere la flessibilità e le “riforme”. Ma conta l’autorevolezza della critica.

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