Arabi
–
Nella teoria diffusionista della cultura, a cavaliere del Novecento, una sorta
di evoluzionismo delle forme mentali, la civiltà cala sugli arabi, in quanto
nomadi, con effetti depressivi. G.W.Murray, lo studioso e politico
afroamericano, sintetizzava nel 1926 in “The sons of Ishmael”, a proposito dee
beduini in Egitto, un denso filone di studi: “Legge e ordine sono calati come
il carbonchio sul Sinai e la Palestina”. È calata dagli inizi della civiltà stessa, a
partire dall’occasionale congiuntura favorevole nell’Iraq meridionale, la
vecchia Mesopotamia, che portò alla costruzione della prima città – la civiltà
è cittadina, urbana.
Il fatto è scontato. Nella
sintesi di Wilfred Thesiger, il viaggiatore inglese che esplorò il Quarto Vuoto
in Arabia Saudita, il deserto deserto, e ci visse anche, con le tribù dei
rashid, “tutto ciò che c’è d meglio tra gli arabi è venuto dal deserto”. Ma
questo era prima della moltiplicazione dei prezzi del petrolio, quarant’anni
fa.
I primi effetti della rendita
petrolifera furono destabilizzanti psicologicamente tra i potentati della
penisola arabica, che ne erano anche i padroni – lo sono tuttora, regni e
emirati sono sempre patrimoniali. I loro nipoti sono ora disinvolti uomini
d’affari, a loro agio nelle più ricche e sofisticate piazze finanziarie del
mondo. Ma i principi ereditari sauditi, i figli di Ibn Saud che si sarebbero
succeduti alla guida del Paese fino all’attuale reggenza, si segnalarono come
disadattati. Come tali analizzati dalla “Harvard Business Review” nel 1975.
Dopo che nel 1974 alcuni di essi, tra i quali il futuro re Fahd, si erano installati
a Montecarlo decisi a sbancare il casinò.
Destra-Sinistra - La
legge e l’ordine è ora di sinistra. Multe, tasse, divieti, carabinieri,
spionaggio, giustizia, sono di destra. E l’odio. Si ripubblica Bobbio come se
nulla fosse, ma questi venticinque anni hanno cambiato l’atlante. Non c’è
nemmeno l’uguaglianza nella sinistra, se non nelle forme opportunistiche del
merito e della competenze.
Resta di destra la corruzione. Ma
non esclusiva, anzi – contando anche la corruzione dove non si persegue, in
Umbria, in Toscana, nelle Marche, destra e sinistra probabilmente si equivalgono..
Donne
–
Una volta c’era sempre uno zio che aveva perso tutto, “a Parigi”, al gioco o
alle donne. Ora non più. Ora si dice, si suppone, che i vizi siano il gioco e
la droga.
Ma più spesso non ci sono più
nemmeno gli zii, siamo al figlio unico di seconda generazione.
Europa
–
Il suo destino è nei numeri. Declino demografico. Declino economico. Irrilevanza
militare e strategica.
Germania-Italia – Andarono all’unisono nella prima metà
dell’Ottocento, “liberate” mentalmente e culturalmente dalla rivoluzione francese
e da Napoleone. In questo alveo
maturarono il nazionalismo, entrambe come risorgimento, un passato glorioso che
avrebbe concimato un futuro altrettanto robusto, e umano, progressivo, libero. In questo senso Marx e Engels
si esprimevano ancora nel 1859, “Po e Reno”. Anche il nemico era lo stesso,
l’impero asburgico. E invece tutto era cambiato, o stava per. La “rivoluzione
italiana” fu popolare e europea, l’unica rivoluzione incontestata e popolare
dell’Europa. La Germania fu unificata dalla Prussia, con una guerra regolare,
di eserciti in campo.
Erano i due mondi diversi? Forse,
ma l’unità tedesca “dall’alto” intervenne quando anche il Risorgimento, morto
Cavour, la sua anima liberale, era stato tradito. Da tutti i punti i vista:
gramsciano-gobettiano o della democrazia, costituzionale o della legalità,
delle pari condizioni tra i plebiscitati, e perfino dal punto di vista della
religione e della laicità. Furono due rivoluzioni alla fine incompiute. Fino a
ottant’anni dopo, al 1945, alla “liberazione” di entrambi i paesi, in larga
misura imposta – allora come ancora oggi, ancora cioè dopo settant’anni. Protagoniste in Europa, ma come dame-papere, impacciate, e sempre bisognose di robusti chaperon, sotto forma di richiami all’ordine.
Giornalismo – “In Dante c’è
un passo in cui lui e Virgilio, mentre attraversano l’Inferno, si fermano
accanto a un uomo immerso fino al collo nel fango bollente. All’uomo non va di
parlare con loro. Ha i suoi problemi. Non vuole un’intervista. Dante lo prende
letteralmente per i capelli e si fa raccontare la sua storia. Una specie di
parabola del giornalismo, credo. Anzi, lo so” (Renata Adler, “Mai ci eravamo
annoiati”, 28).
Nomadismo
–
C’è il bisogno della casa, ma c’è anche il bisogno, benché non altrettanto
celebrato, di non avene una. A qualche
millennio dall’inizio della civiltà, cioè dalla creazione della città, dalla
sedentarizzazione, è come dice Pascal: “La nostra natura è nel movimento”.
La stanzialità è recente. Ha
pochi anni – poche migliaia di anni nel lungo calendario della storia, sia pure
presunto.
C’era nell’emigrazione una forte
componente di evasione. In quella dei girovaghi in forma esaustiva. In quella
dell’Otto-Novecento, delle masse e del bisogno, in forma integrativa ma non
marginale. E con ogni evidenza anche in questo torno di millennio, dell’emigrazione
tragica attraverso il Mediterraneo – non determinata dalla fame, poiché si
pagano cifre iperboliche per i trasferimenti, e spesso nemmeno dalla politica
(“rifugiato politico”, concetto dei tempi del sovietismo, l’Unione Europea
diffonde per sgravarsi la coscienza).
C’è bisogno comunque di andare
via. Forse non definitivamente, ma senza progetti di ritorno. Un bisogno di
vedere, di vedersi, di misurarsi col mondo. Più spesso che non in condizioni
più difficili di quelle che si lasciano. Anche senza l’odio-di-sé, o il rifiuto
dei luoghi, gli ambienti, le condizioni di partenza, senza invettive e senza
interdizioni: un bisogno di andarsene.
È una componente del nomadismo.
Minore. Il nomadismo propriamente detto è costante, è distruttivo, e non si
misura, non intendendo costruire: è un istinto, vagare come non darsi
coscienza. Ma ne rispecchia la voglia di cambiare, anche se per una o due volte
nella vita - non periodicamente o costantemente, che sarebbe disadattamento,
altra cosa.
Chatwin ci trova sotto una base biologica
(“Questo nomade nomade mondo”, il suo primo testo in materia,
1970, ora in “Anatomia dell’irrequietezza”): “Neurologi americani hanno fatto
l’encefalografia a non pochi viaggiatori. È risultato che cambiare ambiente e
avvertire il passaggio delle stagioni nel corso dell’anno stimola i ritmi
cerebrali e contribuisce a un senso di
benessere, di iniziativa e di motivazione vitale. Monotonia di situazioni e
tediosa regolarità di impegni tessono una trama che produce fatica, disturbi
nervosi, apatia, disgusto di sé e reazioni violente”.
Sesso
–
Oggi è prevalentemente un catalogo: una specializzazione come per un mercato.
Facebook ne cataloga 58 ufficiali – status riconosciuti e protetti.
astolfo@antiit.eu
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