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venerdì 25 luglio 2014

il mondo com'è (182)

astolfo

Collegati – Sta per scollegati. Dalla vita quotidiana, dagli affetti, dai legami familiari, sociali e di amicizia. Il collegamento istantaneo e costante isola più che collegare. Isola dal circostante. Sul quale, quando avviene, riversa umori di incerta origine e natura, eventi e circostanze. Modifica i pesi e l’intensità dei rapporti.

Guerra – Non è mai pulita, come ultimamente si pretende. Con la pubblicità della guerra “chirurgica”, prima tedesca poi israeliana, delle bombe “intelligenti”, delle morti mirate, del danno minimo. La guerra è eccesso, spreco, morte indiscriminata. La guerra moderna, malgrado ogni pretese o apparenza tecnologica, più della classica: che si fa a distanza, con gli aerei e l’artiglieria (missili), senza più i corpo a corpo. Si dice: per non esporre la truppa. Ma il bombardamento è sempre cieco e indiscriminato. L’artiglieria s’intende perfezionata dai missili nel senso che puntamento è migliorato, e ora si può arrivare sull’obiettivo senza “aggiustamento” né “forcelle”, il tiro ora lungo ora corto di approssimazione all’obiettivo. Ma non “vede” l’obiettivo – per esempio, in più casi, ha  puntato l’aereo sbagliato, un pallino come un altro nella lettura e il calcolo radar.

Irak – L’unico scorcio di turismo sessuale, in tanti viaggi nell’ex Terzo mondo, è stato a Bagdad. Il tassista a Bagdad, che pure non era nel turismo sessuale, aveva una vergine: “Fuori città. Un luogo rispettabile. Di dodici anni, il primo fiore”.
Il mezzano nella belletristica araba è chiamato a Bagdad “il Prefetto”, e questo è tutto: pure il sesso è triste in quei posti. Si dice che il fascino dell’islam sui popoli maschili è da spiegare in parte col posto che il Profeta fa ai piaceri dei sensi. Ma in quei posti c’è solo tristezza, le “Mille e una notte” sono l’Oriente dell’Occidente.
Bagdad è peraltro l’unico posto in cui la mollezza islamica non c’è, niente occhi al khol né barbe all’henné. Saranno assiri travestiti? L’Oriente è una fuga modesta, tra banditi di passo e tiranni crudeli, senza torri né ziggurat.

Islam – Resiste e anzi si vuole risorto, in parallelo con l’invettiva, il fantasma di un califfato benevolo e tollerante. È un mito soprattutto ebraico, specie del Nord Africa e di Spagna, ma anche cristiano. E non, per una volta, in chiave antiromana: è un mito che gli islamologi volentieri coltivano. Mentre non ci fu un califfato tollerante. Non  più che il sacro romano impero. Dalla biblioteca di Alessandria alle jihad (che le guerre di espansione o le guerre civili vuole di annientamento, per motivi “religiosi”) ogni volta che i califfi, fino all’impero ottomano, ne hanno avuto bisogno non si sono posti limiti alla violenza. La differenza con l’odierno fondamentalismo c’è ma è di natura politica: il califfato era una creazione politica, quindi ordinata e ragionevole, seppure sulla base de rapporti di forza, mentre il fondamentalismo che l’Occidente sta imponendo sul mondo islamico è solo ideologico. Fato di furori, di violenza senza limiti, anche soltanto distruttiva.

Italia-India – Fu un parallelo di moda a metà Ottocento, con cospicue ripetuti accostamenti da parte di Cattaneo, in particolare, e di Marx, in qualità di pubblicisti, collaboratori di giornali e riviste.  Marx, non conoscendo l’India né l’Italia, ne scrisse profusamente sulla “New York Herald Tribune”: “L’Indostan è un’Italia di dimensioni asiatiche, con l’Himalaya per Alpi, le pianure del Bengala per quelle di Lombardia, il Deccan per Appennini, Ceylon al posto della Sicilia”. Con la stessa varietà di prodotti del suolo, la stessa divisione politica, lo stesso passato di terra di conquista.
L’analogia dominante è fisica di protrusione. Analogamente Cattaneo, con l’uso della stessa fonte di Marx – o è Marx la sua fonte? o viceversa? intrigante problema storico - ma con più convinzione: “La penisola indostanica rammenta l’Italia. Anch’essa ha le sue Alpi: anch’essa protende fra due mari una catena di Appennini; l’indole fluviale del Gange simiglia a quella del Po; il Bramaputra raffigura l’Adige; la Nerbudda l’Arno; l’Indo gira intorno alli Imalai come il Rodano alle Alpi; l’altipiano del Seichi e di Casmira potrebbe compararsi a quello dell’Elvezia”. E così via: “Quello dei Rageputi al Piemonte, le campagna d’Agra e di Benares alla Lombardia, la laguna veneta al Bengala, i monti dei Maratti alla Liguria e all’Etruria, le lande del Coromandel al tavoliere dell’Apulia, il Malabar alle riviere della Calabria, e l’isola di Ceilan, se non giacesse verso levante, alla Sicilia”. È per Cattaneo un segno di genio quando, “cercando le Indie dove le Indie non sono, s’incontra il Nuovo Mondo”.

Marx poi complicò la somiglianza aggiungendovi l’Irlanda e il lingam: “Dal punto di vista sociale l’Indostan non è l’Italia, ma l’Irlanda dell’Est”. Una “strana combinazione”, tra “un mondo di voluttà e un mondo d’inimicizia”.
Qusta strana combinazione trovava anticipata nelle tradizioni indù: “È una religione di esuberanza sensuale, e insieme una religione di ascetismo flagellante; una religione del lingam e del juggernaut; la religione del monaco e della baiadera”. Juggernaut essendo l’anglicizzazione di jagannath, il dio Visnù sotto il cui carro i fedeli esaltati dalla flagellazione si buttano.

L’Italia indiana è esercizio anglosassone. È l’esotismo, si può dire, cognito, di casa, della propria tradizione. Isherwood ne ha scritto, che è grande viaggiatore pur non conoscendo l’Italia - c’è venuto tardi, già accasato a Don Bachardy, e a Venezia pianse: “I bengalesi non sono affatto nordici, ma molto vitali, brillanti e volubili, e se piangono non è per molto; somi-gliano molto agli italiani”. E Forster a proposito del signor Fielding, suo alias in “Passaggio in India”, di una sua fissa: “Guardare un indiano come se fosse italiano non è errore consueto e neanche fatale, forse, Fielding tentava spesso delle analogie tra questa e l’altra penisola, più squisitamente popolata, che si protende nelle classiche acque del Mediterraneo”. O forse aveva ragione Loti, cui l’India piaceva ma senza  inglesi.

Anche Voltaire era patito dell’India, con Diderot e Herder. L’illuminismo cioè, ma senza l’Italia. Un loro contemporaneo ascrisse all’India Mosé, “benché rinnegato”. Friedrich Schlegel quindi sancì: “Tutto, assolutamente tutto, è di origine indostana”.

Scissionismo – Grillo con le scomuniche, Berlusconi – che lo ha favorito, forse, a danno di altri con i soldi – con la cancellazione e la rifondazione del partito, il Pd col carisma di Renzi vincitore alle elezioni, il fantasma della defezione sempre ingombra la politica di ricatti e tradimenti. Dopo che lo si pensava sconfitto con l’uninominale maggioritario. L’India lo combatte con una legge anti-defezione.
È una piaga comune alle democrazie indotte, impostate su modelli e sotto influenza dall’estero. L’India vi indulge al punto che una legge antidefezione è stata promulgata, tutti i grandi partiti d’accordo, specialmente il partito del Congresso, che è, è stato, il partito dominante. Contro le miniscissioni, di cui si assume come vero il ricatto ai partiti e ai governi, piuttosto che l’autonomia politica dell’eletto, o il vincolo-mandato di rappresentanza con gli elettori. Il mandato stesso essendo piuttosto dell’eletto col partito che lo ha candidato e sostenuto.

Unisex – Introdotto da Levi’s sul finire del 1969 per presunti risparmi di taglio e di stoffa, e come moda. È rimasto, afflittivo per la metà dell’umanità, specie in viaggio e al lavoro sedentario. Di fatto punitivo nei confronti del maschio. Forse anche non per caso. Mentre la rivoluzione femminile si era fatta appena tre-quattro anni prima col no bras  e la minigonna, quella maschile si fece con la costrizione (castrazione?). La ditta di abbigliamento sportivo Columbia prevede il cavallo sfalsato, con asta destra più lunga, per il pantalone femminile - per stare comodi bisogna comprare femminile?

Enrica Parrucchietti e Gianluca Marletta ne fanno un complotto: “Unisex, la creazione dell’uomo senza identità”, Arianna Editrice. Ricostruiscono e collegano una serie di eventi, pare, per dirlo l’esito dei “poteri forti”, le lobbies mondiali, nel quadro della creazione dell’“individuo manipolabile”. Non può essere vero, ma è senz’altro peggio: è una tortura, lieve ma ininterrotta, dell’uomo.
Un complotto, semmai, dell’antimaschilismo.  Che è sempre forte anche tra i maschi. Si fa grande caso di uno scrittore norvegese che ha pubblicato alcune migliaia di pagine – dice la pubblicità - sulle pappe da lui preparate e i pannolini da lui cambiati. Cose che tutti fanno. Ma è bene dirlo un’eccezione perché così lo leggeranno le donne  - i lettori, come si sa, sono lettrici.

Sarà all’origine della decadenza del giornalismo, lavoro sedentario per eccellenza: telefono, rete, redazione, impaginazione?

Karl Owe Knausgaard, lo scrittore dei pannolini, è eccezionale però anche in questo, assicura Barbara Stefanelli: è “bello, norvegese, classe 1968, anno fatale, alto, capelli lunghi biondi e brizzolati insieme”. Nostalgia del principe azzurro?

astolfo@antiit.eu

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