Lo studio dell’ex ministro Manzella,
esperto giuridico e politico della Pubblica Amministrazione, va integrato con
l’evoluzione politica. La crescita del terzo settore o del volontariato, in
atto ancora prima che fosse avviata la privatizzazione delle istituzioni. Rapidamente
poi passando dalla sussidiarietà (il privato interviene dove il pubblico non sa
o non può) alla titolarità del servizio. E quindi a soggetto sociale e politico
di riferimento. Un assetto che è straripato nel giro del millennio.
La privatizzazione della funzione
pubblica è cominciata col terzo settore. Con l’appalto di molti sevizi pubblici,
spesso essenziali, dall’assistenza all’antimafia, a fondazioni e onlus. A carattere
volontario e senza fini di lucro, ma politicamente e socialmente privati. Quasi sempre legati alla chiesa.
Direttamente, come associazioni confessionali.
Indirettamente, attraverso le fondazioni bancarie, a loro volta legate,
attraverso le vecchie famiglie azioniste, e la rappresentanza delle comunità
locali, alla chiesa.
Lo Stato appalta servizi che non sa
gestire, non convenientemente, anzi con sprechi e ritardi. L’esito non sempre è
soddisfacente. L’immigrazione ridotta a carità è uno. Non modificare la
Bossi-Fini ma assistere nelle pratiche. Non regolare l’immigrazione, ma fornire
la bara o un giaciglio. Un lassismo, quello delle onlus di parrocchia, che è il
peggiore incentivo al mercato nero delle braccia, il piccolo grande schiavismo
che appesta il Mediterraneo. La gestione dei beni mafiosi è un altro. Inetta.
Carissima. La gestione del centri di recupero della droga, etc.. Ma non c’è
remissione, la tendenza è ormai affermata.
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