È la filosofia una scienza, si chiede Abbagnano
alla presentazione dell’opera, pubblicata nel 1936, come “Illusion philosophique”, e tradotta nel 1942 –
da Fernanda Pivano e Silvia Trulli (in tedesco sarà tradotta solo nel 1956)? Per
vivere a costo di illuderci? Questa sarebbe la filosofia come illusione – una
consolazione. L’illusione della filosofia è il suo contrario, l’atteggiarsi a
scienza.
Jeanne Hersch attacca ancora più dura: “La
filosofia, lungi dall’avvicinarsi a un ideale scientifico che sarebbe come una
storia dei problemi in progresso, mette capo, al contrario, a una distruzione progressiva dei suoi propri
problemi, e perfino della possibilità di porne. Questo non per errore, ma necessariamente, realizzando il suo
destino, la sua verità”. A metà libro
è perfino impietosa, la filosofia salvifica appaiando all’“opera di Dio”:
“Vuole spiegare ex nihilo l’universo
e rifare teoricamente l’opera di Dio”.
La questione è sempre quella dell’origine, o
natura, del mondo. La filosofia a volte opina per la soluzione scientifica, a
volte per quella teologica, ma in sé non può farci nulla: “Se l’uomo è incessantemente nel suo divenire… la sua filosofia non può
essere altro che la forma stessa del suo divenire”. Un filosofo che sappia
non è possibile: “Quando il mondo cessasse di essere oggetto per lui, egli
stesso cesserebbe di essere soggetto vale a dire semplicemente di essere”.
Il capitolo centrale, “Il problema del tempo e
dell’eternità in Hegel” è una sapida confutazione del più sistematico dei
filosofi: “La tentazione che c’è al fondo della filosofia di Hegel è una
tentazione estetica. La sua «riconciliazione» (Versöhnung) dei termini antitetici e un riconciliazione estetica
mediante la contemplazione di circoli perfetti”, e delle triadi. Con alcuni
codicilli: Nella storia universale di Hegel “non c’è avvenire”, “Il sistema di Hegel comprende tutto il divenire. Ma il
sistema stesso si sottrae al divenire. Si dà per compiuto, come un’opera
d’arte”. “Il sistema di Hegel non è nondimeno una costruzione vuota;
tutt’altro. Alla tendenza così forte del filosofo alla forma estetica c’era un
contrappeso: la sua propria personalità. Ecco perché nessun altro può vivere
nella sua opera”. Di Hegel, verrebbe da dire, come di ogni altro filosofo,
risolutivo e non.
La seconda
parte, a seguire, lo dice, che Hegel non
è solo. Chi dichiaratamente: Protagora, gli scettici. Chi con velature,
mitiche, logiche: il dubbio di Descartes. Molto speso col circolo vizioso: il
dubbio di sant’Anselmo, il noumeno di Kant – ma Kant, soggetto di altra estesa
disamina, appassionata e appassionante, è anche il filosofo del mondo “fenomenico”,
e come tale il primo assertore dell’ “illusione” della filosofia.
Un terzo ampio saggio è dedicato a Jaspers, di
Hersch maestro, che è quello che ha impostato la questione della “illusione”. E,
dice l’allieva, l’ha “distrutta”, l’illusione e la filosofia, approdando
all’asistematismo.
Jeanne Hersch, narratrice oltre che filosofa, sa
“tagliare” il discorso. Con una vista specialmente lucida in questo che è il suo debutto – poi farà molta compilazione, sui diritti civili e
dell’uomo, e anche sullo “stupore”, tema dell’opera per cui è famosa, la
“Storia della filosofia come stupore”. Talmente persuasiva da sembrare
incontestabile: la filosofia “non si distingue dagli altri domini dello spirito
umano che negativamente, per la sua impotenza. Della scienza invidia il
carattere apodittico. Della religione invidia la fede. Dell’arte invidia la
perfezione”. E non sa apprezzarsi come imperfezione, si può aggiungere, che
sarebbe buon titolo di merito.
Jeanne Hersch, L’illusione della filosofia
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