mercoledì 16 luglio 2014

La libertà di diffamazione

Il “Corriere della sera” affida a Caterina Malavenda, avvocato, la difesa delle intercettazioni, sulla base del diritto all’informazione. Affidare la libertà d’informazione a un avvocato scredita di per sé la questione – più intercettazioni, più diffamazioni, più cause. Ma peggio sono le argomentazioni dell’avvocato, che si riducono a una sola: una pronuncia della Corte Europea, peraltro mal citata, contro un Tribunale svizzero reo di aver con dannato un giornalista per la divulgazione di atti secretati in un “grave incidente”. Mentre i problemi sono altri.
Uno è l’eccesso di intercettazioni in Italia. Sia come numero, sia come uso. Anche quelle autorizzate, dall’autorità giudiziaria, e a fini giudiziari, sono tre e quattro volte più del necessario. Ma molte se ne fanno abusive, a opera degli stessi intercettatori ufficiali. Tutte poi, è il secondo problema, in qualche modo “vendute”, quelle interessanti. Ogni cronista giudiziario, che più spesso è donna, ha le sue fonti confidenziali, o presso le polizie inquirenti, o presso le Procure e i Tribunali, dagli uscieri ai cancellieri e ai giudici. Quanti verbali di intercettazioni non sono stati pubblicati, con le virgole, prima del deposito? 
È un  segreto solo per i giornali che c’è un mercato delle intercettazioni. I giornali del resto ci vivono, seppure non ci prosperano: è l’unica parte “viva” del giornalismo da troppi anni in qua. 
Non c’è stato nessun caso “Sun” in Italia ma giusto per la forma. Nella sostanza sono la stessa cosa, solo con costi minori per lo scandalismo – nel caso del “Sun” era Murdoch a pagare le intercettazioni, qui paga lo Stato. Con l’autorità giudiziaria (polizie giudiziarie, Procure della Repubblica) al posto dei giornalisti del “Sun”. Le intercettazioni non sono disposte dai cronisti ma dalle loro “fonti” autorizzate. Sono legali, ma non sempre a fini di prevenzione o punizione di un reato. Benché coperte - esse sì segrete - dal rapporto confidenziale a due, sono in troppi casi scandalistiche.
L’avvocato naturalmente fa valere che il codice proibisce la diffamazione. Ma solo con molta ipocrisia (si fa pure forte della “autorità” del Garante della privacy): non ci si difende dalla diffamazione. E comunque non ci sono condanne per diffamazione - non condanne “tecniche”, solo, qualche volta, politiche, di parte. Mentre ci sono stati molti  morti apparenti per la libertà di diffamare, persone finite psicologicamente e socialmente, e molti suicidi poi innocentati.

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