L’esordio
come giallista di Dibdin, future creatore di Aurelio Zen, lo sgamato
investigatore veneziano, avviene nel 1976 con un assassino a sorpresa: Sherlock
Holmes. È lui il dr. Moriarty. E anche Jack lo Squartatore. Il dr. Watson lo
scopre per caso all’opera in un delitto atroce, con raccapriccio ma non può
negarsi l’evidenza: era “l’uomo migliore e più saggio”, ma “era pazzo”. È la
verità, forse non del solo Dibdin. Di cui la Oxford University Press può fare
un’edizione per giovanissimi, semplificata nel vocabolario.
Perché
la verità viene a galla nel 1976? Perché il dr. Watson la racconta prima di
morire nel 1926, con la clausola che non sia resa pubblica se non dopo
cinquant’anni, in tempo per il debutto di Dibdin. Un caso d’inverosimilianza
apodittica. Il padre del commissario Zen sfida U. Eco e la semiologia,
dell’induzione deduttiva, o della deduzione induttiva: “Niente sembra reale”,
ma un fatto è un fatto, anche quando è finita la cocaina, per il narratore
oltre che per l’assassino.
Michael Dibdin, The
last Sherlock Holmes Story, Oxford University Press, pp. 68 € 2
L’ultima avventura di Sherlock Holmes, Passigli, pp. 55 € 11,90
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