Sulla crisi del debito ci sono due
Germanie. O meglio: sulla crisi del debito l’Italia e l’Europa si devono
guardare da due Germanie, entrambe sono infatti minacciose. C’è chi la usa
(agita, sfrutta) a proprio (nazionale) vantaggio, ammonendo a non affossare l’euro
(“se fallisce l’euro fallisce l’Europa”), ed è Angela Merkel. Che però fa finta,
con la divisa ormai famosa “troppo poco, troppo tardi”. E chi, sempre a
Berlino, vorrebbe l’euro affossato. Non per cattiveria ma per motivi di democrazia,
politica (elezioni, opinione pubblica) e sociale, e per motivi legali,
costituzionali anzi: i liberalsocialisti, molti economisti, la stessa Bundesbank,
la Corte Costituzionale. Sul presupposto che i Trattati europei, e quindi la
Costituzione, escludono che uno Stato debba rendersi responsabile per altri
Stati.
Sono autorevoli posizioni
nazionali, strettamente mercantilistiche, non europeiste. Del vantaggio tedesco
e non europeo. Del futuro tedesco e non europeo. L’Europa non è un orizzonte ma
un mercato. L’opinione politica della Germania riunificata è agli antipodi di
quella di Bonn, divisa, coi russi a Berlino. Di europeo accetta e anzi dà per
scontato il mercato comune, che è quello che fa la potenza economica tedesca
(la bilancia dei pagamenti sempre attiva col resto dell’Europa, cioè un
drenaggio costante di risorse). Senza obblighi. Il nazionalismo (egemonismo,
mercantilismo) merkeliano è solo un po’ meno freddo di quello liberale, e dell’opinione
pubblica come viene conformata.
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