Autore – Nell’opera è
tridimensionale. Almeno a tre dimensioni, tante ne enuclea Wayne C. Booth, “The
Company we keep: an Ethics of Fiction”:, 1988. Uno è l’ “autore implicito”, il senso
della vita che la narrazione nel suo insieme si è data e dà. Il secondo è il
“narratore” del testo, quando c’è, e l’insieme dei personaggi che si
rappresentano. Il terzo è naturalmente l’“autore reale” – che non coincide con
l’implicito: può essere di più o di meno, avere proprietà che l’altro non ha o
avene di meno.
Cassola – O del sovietismo
inossidabile? Della mafia, piuttosto.
Con lentezza, con stupore, addebitando tutto, non si sa mai, alla
solerzia e all’impegno di Alba Andreini, la curatrice, lo scrittore forse più
impegnato del dopoguerra viene segnalato per una rilettura. Senza peraltro
entusiasmo, giusto perché Mondadori lo ripubblica dopo un’assenza di trent’anni.
Dicendolo, perplessi, non la Liala con cui l’ha bollato il Gruppo 63, lui come
Giorgio Bassani, grande letterato e narratore – due giganti, a confronto della
prosopopea sterile del Gruppo (Umberto Eco compreso, che poi optò lui per il
genere colportistico…).. Cassola fu socialista, radicale, candidato politico, e
sempre apcifista, per l’obiezione di coscienza quando era un reato, eccetera.
Ma non fu del Pci, nemmeno come “compagno di strada”, e questo gli costò la
tranquillità e la reputazione. Gli costa tuttora.
Cassola è stato, scrive Massimo Raffaeli in un tristissimo ricordo
sul “Corriere della sera”, bollato “di provincialismo, filisteismo o, insomma,
di aperta collusione col mercato”. Ma non “è stato” bollato, lo è tuttora. “Non gli
venivano allora perdonate”, ricorda ancora Raffaeli, “l’indipendenza della
ricerca, la perfetta estraneità alle poetiche à la page”, etc. Non delle colpe, semmai dei meriti, ma ciò che
contava – che conta – è mettere nel mirino, isolare. Che si dice sovietismo
impropriamente, è il metodo della mafia in letteratura.
Destra - Uno scambio
si ripropone tra Roger Scruton e Martha Nussbaum - a proposito della riedizione
del saggio di quest’ultima, “Persona oggetto”, 1995, originato da “Sexual
desire”, il trattato del filosofo inglese, 1986, e a esso conformato. La
recensione di M.Nussbaum sulla “New York Review of Books” provocò una lettere
di protesta di Scruton. Il filosofo, benché in lite con l’editore americano,
Free Press, che non l’aveva consultato per il risvolto, che lo qualificava di
collaboratore del governo Thatcher, contestava la recensione, che, in quanto
fondatore del Conservative Philosophy Group, gli attribuiva una consulenza al
governo Thatcher. “Consulenza” che M.Nussbaum aggravava: “Ha servito
entusiasticamente come consigliere del governo Thatcher”. Non è vero, scriveva
Scruton, e voleva dire che, benché conservatore, non era thatcheriano.
Comprensibile: di destra ma di un’altra destra. Tanto più, aggiungeva: “Perché
lei lo ritenga rilevante per una disamina dei miei argomenti
sull’intenzionalità del desiderio sessuale è ancora più misterioso”. Giusto.
Più di tutto, però, Scruton teneva a ribadire che il “desiderio sessuale” può
essere disgiunto dall’amore – il “rapporto duraturo e profondo” di M. Nussbaum
“che coinvolge l’intero essere spirituale di entrambe le parti”. Anzi, la
novità della sua riflessione, sottolineava, era “di caratterizzare un certo
tipo di amore come l’esaudimento del desiderio nel modo in cui la vendetta e il
trionfo sono l’esaudimento della collera”.
Ma questo, è più o meno di destra che consigliare il governo Thatcher?
E non dare nessun credito a un autore a cui ci si conforma, Nussbaum in questo caso a Scruton, è di sinistra?
Ma questo, è più o meno di destra che consigliare il governo Thatcher?
E non dare nessun credito a un autore a cui ci si conforma, Nussbaum in questo caso a Scruton, è di sinistra?
Europa – C’è una
“Europamüdigkeit”, una stanchezza dell’Europa, un senso di fastidio, già in
Heine – che non la condivideva – in viaggio verso Genova, nel 1828. Il poeta la
attribuiva alla “stanchezza di udito” in tema di libertà, di emancipazione dei
popoli e delle classi, e anzi di nascente nazionalismo.
Ironia – Richard Lester
ricorda come iniziò con i Beatles - su “QN” del 5 luglio: “Diversamente da
qualsiasi altro artista, avevano la capacità di guardarsi da fuori con cinismo
e ironia, e l’aggiunta surreale era necessaria per far capire la cosa”.
L’ironia va dichiarata, altrimenti non si capisce.
Scrittore – “«Gli
scrittori scrivono», sembra un fatto ovvio. Alla gente piace dirlo. Io non lo
trovo quasi mai vero. Gli scrittori bevono. Gli scrittori sbraitano. Gli
scrittori telefonano. Gli scrittori dormono. Ho conosciuto pochissimi scrittori
che scrivono davvero” (Renata Adler, “Mai c eravamo annoiati”, 34).
Sinistra - A lungo ha
dominato l’editoria. Non come idee, come schieramento. E tuttora la domina:
pubblicazione, recensioni, critica, premi letterari. Perfino la distribuzione vi si conforma.
Non c’è più la lista di proscrizione del 1969, quando Adelphi, Rusconi e un
paio di altre case editrici furono messe all’indice, dalle librerie
Feltrinelli, dai supplementi libri, dalle recensioni. Ma alcuni editori, alcuni
libri non vanno in alcune librerie e nei giornali.
Sovietismo - È lenta la
riemersione dal sovietismo. Dall’impossibilità per molti di pubblicare, o di
farsi leggere. Comunque sempre screditati, da un tam-tam irresistibile, interminabile,
benché si dichiari esso stesso sconfitto – ha corroso le coscienze. Non si
risistema (rilegge) il Novecento. Di cui peraltro è perduta la vena
alternativa, seppure in veste di “opposizione” politica: non si pubblica e non
si apprezza che il vecchio filone neo realista, in salsa globale: nomi
angloidi, luoghi esotici, foreste pluviali, deserti, tetti del mondo,
oceani-squali, barbe senza volto, e vicende senza passione, per lo più turpi –
la turpitudine ha sostituito il classismo, questa la sola novità. “L’uomo e il
cane”, apologo di Cassola sul rifiuto della libertà concessa, un racconto breve
di ottanta pagine, ri ripubblica con altrettante di excusatio da parte di Vincenzo Pardini – l’editore lo teme
altrimenti inappetibile.
Viaggio – È una
letteratura non italiana? Dacia Maraini presenta il suo libro di viaggi, “La
seduzione dell’altrove”, con una premessa
impegnativa: “Incontrare un’altra cultura e altre persone mette in crisi quello
che sei stata fino a quel momento. Non tutti lo sopportano”. Ma non è il
contrario per l’ultimo viaggiatore d’eccellenza, Chatwin? Un personaggio a
Londra: gay, snob, con un occhio esperto d’arte, che gli apriva le porte della
stessa Londra, e di Parigi, della Toscana, del mondo che conta. Ma curioso e
per questo divertente – creativo: amava viaggiare, e far rivivere, raccontandoli,
altri mondi.
Non un caso isolato: ci sono moltissimi bei libri di viaggio in
inglese, che volentieri si leggono, a partire dall’Etiopia di.Burton. Insegnano anche
molto, decontratti e insieme comparativi al giusto.
In italiano si leggono eterni viaggi intorno a se stessi. Viaggi “in
una stanza”, “attorno all’ombelico”, quella solfa là che è il contrario della
letteratura di viaggio. Viaggi spesso - molto più spesso che altrove, in
Germania per esempio o in Francia - attorno all’essere italiano, anche, che è
la stessa cosa.
Si deve dire forse l’italiano malgrado tutto sedentario. Malgrado
l’esterofilia. Anche quando, come spesso fa, emigra, per studio, per lavoro,
per allontanarsi dalla famiglia. Ha nostalgia? Anche se non ce l’ha, non cambia - succede per i tanti
meridionali che si rifiutano, assimilati già alla prima generazione: non si
scuotono la polvere originaria di dosso.
letterautore@antiit.eu
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