martedì 22 luglio 2014

Letture - 178

letterautore

Berlino – Mario Fortunato ne fa una voce, una serie di voci (“Le voci d Berlino”), alcune anche di frequentatori celebri, Isherwood, Auden, Erika e Klaus Mann, Benjamin naturalmente e Döblin. Altre ne avrebbe potuto aggiungere, Bachmann, Böll, lo stesso Grass. Ed è vero, come luogo letterario è vuota: la città risuona cava, ferrigna. La massima celebrità, quella incoronata da Bob Fosse con “Cabaret”, aveva come realtà una coppia di inglesi, Isherwood e Auden, in cerca a Berlino di maschi da smanettare, in appositi locali, con borchie e cuoio, meglio perché proletari. Mentre arrivava Hitler.
Capitale delle opposte libertà nel lungo dopoguerra, il topos non è stato riempito di nessun palpito resistenziale, sacrificale, ma solo di architetti americani e di spie. Come una scena muta per i gangster della politica.
Capitale della Germania, e prima ancora della Prussia, Berlino è in realtà una città di ugonotti. Federico Guglielmo rimpolpò con cinquemila ugonotti di Francia, dono dell’improvvido Luigi XIV, attivi e fervorosi, i diecimila berlinesi. La Prussia tutta, devastata dalla peste del 1709 e dalla guerra dei Sette Anni, fu ripopolata da Federico Guglielmo coi protestanti di Salisburgo, in aggiunta a quelli di Parigi, e trentamila svizzeri.

Califfato – È uno dei grandi miti filologici. Bagdad riunì molti letterati e filosofi, ma per il prestigio, come illustrazione del potere, e senza creare nulla – i maggiori geni venivano da fuori. Era un impero come un altro. Una costruzione militare e politica, come tutti gli imperi, che si celebrava con le arti. Gli orientalisti lo sanno, anche quelli che se ne dicono nostalgici: è un’utopia in forma di nostalgia.
Specialmente forte fu il mito nei Sei-Settecento, secoli di scienza e ragione. L’opera se ne fece un repertorio immenso. E la letteratura d’evasione, i primi romanzi. Semiramide da sola è protagonista di un centinaio di opere. Il solo Metastasio ha un catalogo interminabile di medìorientalismi: “Adriano in Siria”, “Alessandro nelle Indie”, “Achille in Sciro”, “Demetrio”, “Zenobia”, “Ciro”, “Artaserse”, “Didone” e “Catone in Utica”. Coi tanti Antigono, Armide, Zaire, Zaide, Zelmire e Giuditte trionfanti. Händel gli fa cocorrenza: “Almira”, “Radamisto”, “Giulio Cesare in Egitto”, “Alessandro”, “Siroe”, “Jephtha”, “Serse”, “Tolomeo”, “Esther”, “Berenice”. Anche Mozart ne fu contagiato, e Rossini.
Seriali i romanzi: “Artameno il gran Circasso”, 8.500 pagine, dieci volumi, “Almahide la schiava regina” otto, “Ibrahim il gran Bassa” quattro.

Digressione – Il romanzo in nota è attribuito a Gadda – ma è più verosimilmente di Arbasino. Le storie - qualsiasi storia - essendo scontate, l’unico interesse della lettura, e quindi della scrittura, starebbe negli “a parte”, le digressioni, il prima e il dopo, il sotto e il sopra, e l’a lato. Questo soprattutto: la digressione è una reazione a catena senza esito. Che in realtà non può prescindere dai dialoghi e le altre tecniche narrative, pena l’illeggibilità.  

Giallo – Sta per libri economici, di larga circolazione, più che per romanzo thriller. I romanzi decadenti francesi, storie di avventure amorose perlopiù, si sono pubblicati per un cinquantennio, fino a tutti gli anni 1930, cotto copertina in brossura gialla. Quelli di Marcel Prévost, romanzi di costume (“Les démi-vierges”, “Les vierges fortes”, “Les don Juanes”), o gli incontinenti Paul Bourget, Pierre Benoît, Henti Duvernois,  “Gerard d’Houville”, che era Marie de Régnier, nata de Hérédia, ninfetta e poi ninfa, nel tempo libero, dell’amico di famiglia Pierre Louÿs – i moschettieri del “giallo” ai quali verrà commissionato “Il romanzo dei quattro”. Una piccola serie nella collana popolarissima di Fayard “Le livre de demain”, che annoverava autori quali Myriam Harry, Pierre MacOrlan, Binet-Valmer, e Gide (“La porta stretta”), Duhamel, Colette, Maeterlinck.
È un romanzo con la copertina gialla, “Le secret de Raoul” di Catulle Sarazin, che Lord Wotton regala a Dorian Gray nel racconto di Oscar Wilde. 

Libreria – In tutta la Versilia, da Viareggio a Forte dei Marmi, la spiaggia più costosa d’Italia, non c‘è una libreria. Non  più. Ce n’è stata una Internazionale anche famosa, la libreria Franceschi a Forte dei Marmi, fino a vent’anni fa. Cui è succeduto Giorgio Giannelli, lo storico della città, con la sua famiglia e molta buona volontà, ma non ce l’ha fatta e tre anni fa ha chiuso. Ce n’era una anche fascinosa, oltre che internazionale, a Viareggio, rètro e  insieme à la page. Ma aveva chiuso già prima della crisi. C’è rimasta solo la Mondadori, come superfetazione del Bagno Margherita, brand di prestigio, che h affiancato la libreria al bar.  

Scrivere – Di può dire “defamiliarizzare”, in tutte le sue espressioni,.dalla più banale alla poesia e la tragedia. E alle tecniche di scrittura, per il cinema, per il teatro, per i generi del romanzo: della vita, del mondo, cogliere un momento, che è sempre nuovo.
La parola suona esotica, dovendosi riportare a un secolo fa, a Mosca - Slovskij, “L’arte come procedimento”, 1917 (nella raccolta “I formalisti russi”). Ma è l’effetto di straniamento che già impiegava il romanzo ottocentesco, e sarà del teatro di Brecht. Ed è concetto semplice: La familiarità lascia nell’indifferenza, mentre scrivere, sia pure una lettera, un appunto, un messaggino, crea un impulso, una vicenda. Più di tutto si vede nella comunicazione online, dove prima di tutto (progettare, creare, simpatizzare, spiegare), si vuole fare sensazione.

Suspense – Resta, fatti tutti gli esperimenti, la “tecnica” per eccellenza del romanzo, della narrazione.

Viaggio - Il progetto del primo Chatwin, il famoso libro-saggio sul nomadismo che mai scriverà, lo stesso Chatwin sintetizza nell’autobio “Ho sempre desiderato andare in Patagonia” (ora in “Anatomia dell’irrequietezza”) così: “L’uomo, umanizzandosi, ha acquisito con le gambe dritte e il passo aitante un istinto migratorio, l’impulso a varcare lunghe distanze nel corso delle stagioni”. Un impulso diventato “inseparabile dal  sistema nervoso centrale”. Che quando è costretto a vita sedentaria si sfoga “nella violenza, nell’avidità, nella ricerca di prestigio o nella smania del nuovo”.
La dromomania sarebbe dunque una panacea, a vizi e violenze? Gli appassionati lo dicono sempre della loro passione – gli appassionati devono giustificarsi, la passione è subdola. Ma Chatwin lo dice con qualche ragione in più: “Si spiega che, nell’intento di ristabilire l’armonia dello stato primigenio, tutti i grandi maestri – Budda, Lao-tse, san Francesco – abbiano messo al centro del loro messaggio il pellegrinaggio perpetuo, e raccomandato ai loro discepoli, letteralmente, di seguire la via”. Si spiega anche che “società mobili come gli zingari siano egualitarie, libere dalle cose e restie al cambiamento”. Ma forse con qualche dubbio: la mobilità va con la conservazione, il rifiuto del cambiamento? 

letterautore@antiit.eu

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