Commedia
dell’arte –
Sarà stata l’ultima scienza letteraria italiana. Dopo la filologia del volgare,
il recupero dei classici, la reinvenzione della storia, l’invenzione della
scienza politica. La commedia più originale, perché non recupera vecchi
modelli, classici. Lo studio e la selezione, l’ordinazione, il riuso dei
repertori (fino gli ultimi teatrini di burattini in piazza), la scelta e
l’adattamento degli stessi, i costumi, i colori, le voci. La finzione-finzione:
la scena dipinta, finestre, armadi, porte – che oscilla a ogni corrente d’aria.
Il trucco: l’attore era anzitutto un truccatore, ogni sera col trucco entrava,
studiatamente, nel personaggio, prima che un contraffattore delle voci e le
movenze. E le maschere, creazione incredibilmente vasta e coordinata, sempre
filologicamente sensibile.
Dante – Nella “Commedia”
si è “ingabbiato”? Nick Tosches, il poligrafo newyorchese dantista autodidatta,
italianista e italianofilo, cultore della materia per molti anni e letture,
traduttore della “Commedia” in proprio, lo ha trovato alla fine chiuso, e in
qualche modo sterilizzato, dalla metrica, di cui pure era studioso e maestro.
“La mano di Dante”, un romanzaccio nero in cui Tosches (nome albanese,
di nonni originari di Casalvecchio di Puglia) rifà la biografia di Dante in
forma di “recensione”, ha una pagina non peregrina su questo aspetto. D’accordo
con George Steiner, che vuole la “Commedia” l’opera suprema del millennio, ma
anche con Goethe, che la vuole raffazzonata, ridicola, inadeguata (parole,
chiosa Tosches, “più adatte a descrivere la seconda parte del suo «Faust»”),
dopo “una dozzina d’anni” di lavoro di traduzione conclude che “la gabbia
ritmica e metrica” è “restrittiva”: obbliga la creatività a “una ricercatezza innaturale”.
Con “l’anima, la bellezza e la potenza” così “sacrificati per sorreggere la struttura
dell’opera che solo un autore talmente freddo da dare maggiore importanza alla
tecnica artistica rispetto all’arte avrebbe potuto farlo”.
Digressione – Tutto può
essere interessante a leggere, anche gli annunci funebri, o il tamburino del
giornale. Purché non sia scontato, non si sappia prima cosa si va a leggere. Il
bugiardino delle medicine, per esempio, è pieno di sorprese, la morte non
esclusa. Finché non si scopre che ripete uno schema: chi prende quel medicinale
potrebbe anche prendere (uno su centomila, o su un milione) tutte le malattie,
Mentre la creazione - la svolta creativa
– non sta nei particolari, O meglio sì, ma nei particolari significativi, in
qualche modo nuovi.
William Morris – Poeta,
romanziere, progettista, art designer, industriale, tipografo, perseguiva un
ideale di lavoro estetico ispirato alle botteghe medievali. Di artigiani che si
regolavano sul bello oltre che sul pratico. In polemica esplicita con la
scadente produzione industriale. Aveva fondato una Morris, Marshall, Faulkner
& Co, poi Morris & Co., che nel 1861 assunse tra gli altri Dante Gabrel
Rossetti e Edward Burne-Jones.
Opera - È rivoluzionaria,
molti suoi temi lo sono. La filologia di molti esercizi di Rossini. Il
multiculturalismo, mediorientale, asiatico, perfino latinoamericano e
nordamericano. L’eversione, che sempre sottende la commedia, dai matrimoni ai
rapporti padrone-servo. In senso proprio lo fu a Bruxelles, dove alimentò i
moti del 1830, quando la città insorse contro il dominio olandese sulle note e
i temi di Auber, “La Muta di Portici”.
Promozione – In Italia per
pubblicizzare l’ultimo suo libro, Geoffrey Deaver trova opportuno parlare di Faletti,
morto con cordoglio di tutti. E dice:“Con la scomparsa di Giorgio Faletti non
solo l’Italia ma il mondo intero ha perso la sua leggenda”. Un maestro: “Mi ha insegnato
che dobbiamo dare al pubblico il più alto grado di esperienza emotiva”.
Un’elaborazione del lutto, per conto dei tanti lettori di Faletti.
Un’autogratificazione. Una buona promozione, non malvagia, non cinica: annettersi
i lettori orfani di Faletti. Le pagine dei giornali sono d’obbligo, di fronte a
tanta sensibilità.
Deaever, anni, ha 32 romanzi all’attivo, tradotti in 25
lingue. E l’Italia? “Roma”, dice, “Capri, Positano, le Cinque Terre, la Toscana”
– Deaver è georgico, non va a Firenze né a Venezia.
Traviata – Germont,
seguito su Rai 5 col testo, non solo canta da solo un impegnativo secondo atto,
ma dice e fa le cose giuste. Per la sensibilità contemporanea, quindi a suo modo rivoluzionario, anche lui, per
quella dell’epoca, l’Ottocento: borghese, solido e stolido.
Si può fare della “Signora dalle camelie” una vindicatio antiborghese, oppure protofemminista. Dumas jr., che si
qualificava di “femministo”, la intendeva in questo secondo senso. Comunque,
nel libretto di Piave, Germont padre è compassionevole e perfino affettuoso, e
dice le cose giuste. Il “borghese”,
supponente, avaro, è invece il giovane Alfredo, che solo si eccita al gioco
delle carte, e di Margherita si vanta “pagata io l’ho”.
Il “discorso” sociale, vissuto, è meno classista (esclusivo,violento),
di quello generazionale (egoista) e romantico (vanitoso)? Più ragionevole..
Wagner – L’opera di Wagner
invece è reazionaria. Tranquillamente, in ogni aspetto, compreso il
romanticismo estremo, sempre solitario, disperato. Anche a leggerne i fumi in
senso tolkieniano, di gobbi più curiosi che malvagi nelle terre di mezzo.
Wagner è rivoluzionario nel senso conservatore. Anticipatore di
quella che sarà negli anni del primo dopoguerra in Germania la rivoluzione
conservatrice.
letterautore@antiit.eu
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