Quanti possono volere la morte di
un affarista crudele, figlio e erede di un ministro dell’Interno primatista
della corruzione e della violenza? Swarup (“Il milionario”) ne sceglie sei.
Tutti egualmente innocenti e assassini, qualcuno altrettanto corrotto: le
motivazioni in un delitto non contano, come invece vorrebbero le polizie, e
comunque “i più interessanti sono sempre gli imputati”, l’autore fa dire a
Kafka.
Chi ha ucciso un potente corrotto e
feroce è ininteressante I sei sono stati
scelti per comporre un quadro dell’India dell’attualità, dalle Andamane a
Bollywood, Gandhi compreso e l’aruspicina, di violenze inumane, senza
giustizia. Di un paese la cui civiltà è crogiolare nell’inciviltà. Con la
superiorità della tradizione grande e per questo incorreggibile.
La suspense è nell’accavallarsi delle turpitudini, tutte possibili, e
per questo travolgenti. Molto pop,
quasi trash, tra Altman e Tarantino,
e indelebile. Si pensa con un sorriso, cancellati i nomi, di leggere una storia
di casa: affarismo, veline, caste, clientele, terroristi, santoni, imbroglioni, molti,
ladri pure, farmaci miracolosi, killer, clientele, giudici a tariffa, e lo scandalismo,
di vendetta, di ricatto. Non così trucida,
ma poco meno. Di italiano, propriamente, c’è solo un mezzano, di principe arabo del petrolio.Una particina. Ma sinistra aleggia la somiglianza, quasi un calco. Il sorriso nasce dai paralleli professorali tra Italia e India cui
indulgevano Cattaneo e Marx, pur sapendo poco dell’Italia e niente dell’India. “L’Indostan
è un’Italia di dimensioni asiatiche”, più volte Marx informò i suoi lettori sulla
“New York Herald Tribune”, con profusione di analogie geografiche, tettoniche,
agricole, storiche, politiche. Identicamente Cattaneo, che scese nei
particolari: “La penisola indostanica rammenta l’Italia. Anch’essa ha le sue
Alpi: anch’essa protende fra due mari una catena di Appennini; l’indole
fluviale del Gange simiglia a quella del Po; il Bramaputra raffigura l’Adige;
la Nerbudda l’Arno; l’Indo gira intorno alli Imalai come il Rodano alle Alpi;
l’altipiano del Seichi e di Casmira potrebbe compararsi a quello dell’Elvezia”.
E così via: “Quello dei Rageputi al Piemonte, le campagna d’Agra e di Benares
alla Lombardia, la laguna veneta al Bengala, i monti dei Maratti alla Liguria e
all’Etruria, le lande del Coromandel al tavoliere dell’Apulia, il Malabar alle
riviere della Calabria, e l’isola di Ceilan, se non giacesse verso levante,
alla Sicilia”.
Un’ultima corrispondenza avrebbe
fatto sussultare Cattaneo, se non Marx: le intercettazioni – “l’India è il
paradiso delle persone che origliano”, stigmatizza il giustiziere, che è un intercettatore.
Già sentito anche l’epilogo, che è
una nota politica, di sociologia politica – Swarup è di formazione e
professione diplomatico: l’India non funziona perché la classe media si nega.
Swarup, come Tocqueville, ne ha grande considerazione: “È stata lei e generarle
le grandi rivoluzioni del mondo, in Francia, in Cina e Russia , in Messico,
Algeria, Vietnam. Ma non in India”. Salvo che per le deprecazioni della mancata
Riforma, sembra la geremiade italiana. Comprese le rivoluzioni che non ci sono
state, più o meno in nessuno dei paesi citati - mentre mancano all’appello Usa
e Gran Bretagna, i soli paesi della classe media.
Vikas Swarup, I sei sospetti, la Repubblica-l’Espresso, pp. 524 € 7,90
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