Roma,
che aveva inventato il divieto al traffico a piazza Navona nel 1965, o 1966, ma
ha resistito cinquant’anni alla chiusura del centro storico, deve ora
soccombere alla fantasia bizzarra di un sindaco venuto dal nulla. Forse
siciliano, forse piemontese, forse americano, forse medico, forse solo
politicante. Bizzarro e fantasioso giusto per l’apparenza, un barbaro in realtà
con la maschera dell’esteta. Quella consolidata della lobby ricchissima e cieca
dei padroni dei fondaci, la miniera della rendita urbana.
La
pedonalizzazione, ormai è acclarato, non è la fruizione delle città da parte
delle periferie. Non è la protezione dell’aria e dell’ambiente. Non è la
protezione dei centri storici. È l’abbrutimento dei mercatini: s’intende per isola
pedonale il mondo cupo delle jeanserie, pizze al taglio, gelati al fluoro,
bancarelle. Roma, città unica al mondo in quanto a otto dimensioni, religiosa,
politica, burocratica, commerciale, artigianale, industriale, di studi &
ricerche, urbanistica, ha resistito per mezzo secolo. Per vedersi ora cancellata
da un sindaco ignoto. Non ci sono partiti a Roma, solo affiliati della lobby
degli affitti?
Non
ci sono, il sindaco Marino non ha che plausi. Dei molti nemici della città
camuffati da ecologisti, cui la lobby della rendita urbana dà fiato. Ha già
chiuso e degradato l’Esquilino, ora si allarga a Monti, e presto si prenderà il
Tridente, il Corso e tutto il centro storico. Via ogni punto di riferimento
storico: artigiani, negozi, caffè, trattorie. Dentro il nulla. Magari
insolvente, ma bisogna “far girare il grano”.
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