Non
si trovano che giudici in lite, oggi come ieri o un qualsiasi altro giorno. In
lite a Milano, nella Procura e fuori. In lite a Roma, oscena, per consorterie,
camarille, promesse, buggerature, attorno ai”posti” di consigliere del Csm. Che
pure è un organo della Costituzione. In
lite sulla Costituzione, che vogliono intoccabile mentre giornalmente la scardinano. In lite a Palermo, dove un
paio di giudici vogliono tutti gli altri mafiosi, più o meno. O altrimenti
impegnati, questa volta tutti insieme senza un’eccezione, a difendere i
privilegi. Di emolumenti, Di pensione. Di carriera, a cieli aperti, senza mai
dover dare prova, nepure mi nim a, di applicazione al lavoro, se non di
efficienza.
Non
si finisce di stupirsi del basso livello di moralità, nonché di efficienza, dei
giudici. Senza vergogna, e anzi con jattanza. Con quel loro linguaggio astruso
che rende impossibile ogni distinzione del bene dai reati. Con quelle loro
procedure da giocatore delle tre carte, che sempre scoraggiano gli onesti. Non
si può dire la giustizia il perno della corruzione incontrollabile e del
disfattismo dello Stato, ma così è: quella civile, quella amministrativa, e
anche quella penale. Al coperto di un formalismo che i giudici stessi si
tessono, contro ogni forma, anche remota, di giustizia.
Dire
“i giudici” nel senso di tutti i giudici è un’esagerazione. Ma l’incapacità è
devastante. Sembrano tirati fuori dalle grida manzoniane. E la neghittosità: su
novemila giudici lavoreranno in duemila? ecco, ma non più di tanti.
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