domenica 13 luglio 2014

Secondi pensieri - 181

zeulig

Corpo - Il disprezzo del corpo sarà un’insorgenza dei Disprezzi del mondo, genere un tempo in voga? O della candelora che s’avvicina, quando la cenere s’impone alla fronte con l’avviso: “Memento quia pulvis estis et in pulvere reverteris”, sei polvere.

Dio – Geloso lo vuole l’“Esodo”, nel nome di Mosè. E tale lo si diceva degli altri dei, del politeismo. Ma non potrebbe esserlo, poiché gli altri dei non li considera. Né se ne conosce manifestazione alcuna in tal senso – Mosè forse, ma non se era un generale egiziano, come l’ebraismo vorrebbe. Geloso appare piuttosto degli uomini, del libero arbitrio.
   
È rivoluzionario oppure conservatore - più rivoluzionario o più conservatore? Hegel, dce Heine, ci ha insegnato “come l’uomo tramite la conoscenza diventi Do, ovvero – detto altrimenti – come Dio diventi cosciente di sé attraverso l’uomo”. Attraverso il “fare”, direbbe oggi Renzi.
Ma non è sicuro che la conoscenza sia rivoluzionaria. Heine, poi, prese a diffidare delle rivoluzioni, dopo la batosta del 1848, del fare dei dotti.

È mosaico, ancora, fondamentalmente.  Collerico e amorevole in due modi opposti. Collerico con tutti e con ognuno, di ognuno conoscendo le più risposte riserve mentali. Quello di Michelangelo, del Giudizio universale. Amorevole in quanto missionario, per la salvezza indistinta del popolo. Per un’ideale di salvezza.
È in questa chiave che è – è stato – anche misogino.

McLuhan – L’elettronica rimpiccolisce il mondo, oltre che appiattirlo? Riduce lo spazio invece di allargarlo? È la filosofia sottesa al “villaggio globale” di cui McLuhan è profeta e critico – che peraltro si configura meglio come campo mobile, nomadico. La letteratura, egli diceva, scomparirà, e naturalmente la filosofia. La tecnologia elettronica mettendo fuori gioco lettura e scrittura, la velocità sostituendosi al tempo.
L’elettronica viene con la rapidità, riduce (elimina) il tempo velocizzandolo. Cambiando i “presupposti razionali dell’apprendere”. Lo scrittore va “fuori gioco” come lo specialista in genere: “L’esperto”, diceva McLuhan, “è l’uomo che sta fermo”. Per tutto questo è dubbio che essa sia una liberazione. È dubbio che favorisca l’abolizione o anche solo la riduzione della cultura come fattore classista, poiché i media e la comunicazione restano sempre padronali – solo più meglio camuffate, quindi pericolose.  

Natura – Non ha consistenza se non s’arriva a un’idea sostanziale del corpo, dell’anima col corpo, all’insegna dell’“Adoro te devote, latens deitas”, l’inno in versi di San Tommaso dal senso peraltro reversibile. All’haecceitas di Duns Scoto, l’esistenza individuale, la singolarità della beatitudine, che è piacere mentale e accettazione incondizionata del mondo e dell’altro.

Pubblico – Melville pretendeva di distinguere il “pubblico” dal “popolo”, quello cattivo, questo buono. La dicotomia è ben rilevata da Marcus Cunliffe, “Storia della letteratura americana”. Con essa lo scrittore si districava nella pania del sociale e dell’attuale, in cui incorreggibilmente si inviluppava, da uomo che viveva il suo tempo, in tutte le speranze e le inevitabili delusioni. Ma non senza argomenti. “Pubblico” era quello che si dirà “borghese”: il mondo dei valori astratti e della politica politicante. Che nella guerra civile, che fece almeno mezzo milione di morti, per esempio, non sapeva nemmeno di essere in guerra, non voleva pensarci e non ci pensava. Come del resto in tutte le guerre. Che esauriva la democrazia nel voto. E per quanto riguardava lo scrittore, così come per il suo amico Hawthorne, semplicemente li ignorava – i “bramini” di Boston, una società letteraria tanto vacua, scriveva Melville, quanto piena di sé. A questa opinione Melville opponeva il “popolo”. Come segretamente depositario della democrazia.
Pubblico insomma come opinione prevalente: l’opinione pubblica. Che dunque nasce inaffidabile: la polemica dello scrittore è una delle prime enucleazioni di quello che sarà il potere dell’opinione. Pubblico intende come apparato di potere, e quindi determinante sull’opinione. Come frattura fra la democrazia – il “popolo” – e il potere. Sotto forma non più di forza, o di comando, ma di opinione.
È la divaricazione alla base del sospetto che ora circonda l’informazione. Benché teoricamente più libera, diffusa e incontrovertibile che mai, per il pluralismo assicurato dai new media. Per la reputazione di inattendibilità, che sottende questa esplosione di “informazione” – la genera e la alimenta il sospetto. Che l’informazione professionale fa a gara a confermare, la sua materia disponendo in forma di teatro, di show. Occupando la scena, con effetti speciali, anche verbali (tweets), per espellerne l’analisi e la critica. Il sacro confondendo col profano, il dramma con l’irrilevanza, il politico con l’impietosa impolitica dei tanti volti di politici in tv, morti parlanti.
“Pubblico” è il pubblico dei talk show, selezionato, disposto da un regista, con determinati visi, angolature, profili, capigliature, capi d’abbigliamento, dietro questo o quel personaggio che prenderà le inquadrature. Che deriva dal pubblico pagato degli spettacoli, di musica, teatro, canto, danza, la vecchia claque, ma subdolamente si usa a sottolineare il presunto dibattito di idee che i talk show monopolizzano, corroborandone la “verità”.

Transumanismo –  Si può dire un ritorno al passato. A prima del lungo arco idealismo-esistenzialismo, quando ancora il pensiero era questione, sì, di logica, ma anche di ottica (colori), chimica (alchimia), botanica, zoologia, eccetera. A un mondo non confinato, sia pure per maggiore efficienza, al pensiero.

“Il pregiudizio dell’autodistruzione” Bruce Chatwin certifica - camuffandosi come “Dottor Maximilian Tod”, nel racconto dello stesso titolo, ora in “Anatomia dell’irrequietezza” -  “radicato nei circoli accademici americani” già negli anni 1970.

Uguaglianza - La prodigalità può riuscire sgradevole, dei beni o del corpo, ma san Tommaso l’avarizia dice vitium capitale. Né ci può essere uguaglianza nel niente, giustizia nella privazione: questa è invidia, che è la peste delle rivoluzioni.
Vera uguaglianza sarebbe “trattare inegualmente l’ineguale”, con l’innominabile Schmitt. Cosa che peraltro nessun sistema di equazioni saprebbe risolvere, neppure Gödel.

zeulig@antiit.eu

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