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mercoledì 23 luglio 2014

Secondi pensieri - 182

zeulig

Dio – Essenzialmente è scrittore. È legato alla scrittura. Il Dio unico – esclusivo e geloso – di Mosè è uno che si rivela nella scrittura. “Dio è l’autore delle Sacre Scritture”, dice il nuovo Catechismo. La contemporaneità non ha bisogno di temerlo, che fa a meno della scrittura e dell’autore.

Morirà con la scrittura – sta morendo ora, che la scrittura si rarefa - oppure la scrittura diventerà immortale?

È smemorato, seconda la gallina filosofa di Malerba (“Le galline pensierose”), perché ha dimenticato proprio le galline, tra i tantissimi animali con cui ha riempito l’Arca, quello più utile. Questo può spiegare perché a volte non c’è – non c’era ad Auschwitz, etc.
Oppure è un soccorritore. Sta lì a impedire che l’uomo di distrugga, tanto è stupodi per la pretesa di essere intelligente. “Se continueremo a commettere ingiustizie, Dio ci lascerà senza la musica”, il cardinale Ravasi fa dire a Cassiodoro.

Dio è musica non è male. Anche dissonante.

Feticismo – Una digitazione errata su google dà 276 pagine di fétichisme, la traduzione francese.
È l’unica locuzione che oggi distingue le vere religioni dalle posticce, anche se non si legapiù al concetto antropologico di primitivo.  

S.Agostino, “Locutiones in Pentateucum, 2, 138 usa, come sinonimo di simulacra, l’espressione facticii dei.

Chatwin faceva ancora grande caso del “feticcio”. Ma pure Bettini , nel recente “Elogio del politeismo”, 109. In latino è factitius, fabbricato, “in contrapposizione a ciò che è «naturale», annota il filologo. Nelle lingue romanze la parola subì vari adattamenti, tra cui il portoghese feitiço – “passato a indicare ciò che è «artificiale», nel senso di ciò che è stato realizzato tramite la magia”. Feitiço, ossia “artefatto magico, stregonesco”, fu poi usato nel ‘500 in Portogallo per designare i manufatti del Benin, nel golfo di Guinea. Qualcosa che aveva manteneva il carattere originario di soprannaturale, ma caricato di tinte stregonesche. Feiticeiro è in portoghese lo stregone – in analogia con l’italiano “fattucchiera”. Consacrato, nella traduzione francese fétiche, assortita di fétichisme e fétichiste, dal presidente des Brosses a metà Settecento per designare le religioni primitive, nell’ambito del concetto di primitivo che si veniva sviluppando, come quelle che adoravano cose e animali. Una degradazione, argomenta Bettini, come tante altre, della religione “diversa” dalla nostra. Come tale Hegel la recepirà: una religione per  poveri negri. Comte la alleggerirà soltanto, facendone una tappa attraverso cui tutti i popoli passano – alcuni prima, altri dopo.

È Des Brosses, che si può dirne il primo studioso, 1760, “Culte ds Dieux Fétiches, ou Parallèle d l’ancienne Religion de l’Egypte avec la Religion actuelle de Nigritie”, 1760, che lo elabora in senso religioso, per “il culto, forse non  meno antico del culto degli astri, di taluni oggetti materiali chiamati feticci dai negri africani”: “Chiamerò questo culto feticismo. Anche se nel suo contesto originario esso riguarda le credenze dei negri, intendo usarlo per ogni nazione i cui oggetti sacri siano animali o cose inanimate dotate di qualche virtù divina”. Che esemplifica in statue, pietre, alberi, bastoni, conchiglie, una vacca, una coda di leone, il mare stesso.
Freud lo sublimerà nel rimosso: “Il feticcio è un surrogato del fallo della madre da cui il bambino non vuole staccarsi”. Uno dei tanti surrogati – sempre del fallo della madre: “Questi surrogati possono essere utilmente paragonati ai feticci in cui il selvaggio incarna il suo dio”-

Somatismo – È la relazione più nomale, scontata, dell’anima col corpo, delle pulsioni emotive e anche intellettuali con la fisologia. Anche le “virtù morali” o naturali non si possono pensare disgiunte dal corpo.

Stupidità – La più pericolosa è quella intelligente: dei condottieri, i conquistatori.

SuicidioMontesquieu lo spiega in termini moderni, dopo aver fatto nello “Spirito delle leggi” il confronto tra i romani, che “non si toglievano la vita senza un motivo”, e gli inglesi, che invece si uccidono “senza una ragione, si uccidono perfino in piena felicità”. È per il benessere, cui consegue “un difetto di filtrazione dei succhi nervosi: l’organismo, le cui forze motrici divengono inattive, è stanco di sé”. Spiega Montesquieu: “L’anima non sente il dolore, ma una certa difficoltà di esistere. Il dolore è un male locale che ci porta al desiderio di vederlo cessare: il peso della vita è un male che non ha sede particolare e ci porta al desiderio di veder finire la vita”. Bisogna avere l’anima.

Un capitolo non a parte nella storia dei suicidi è l’Uticense, l’incorruttibile che annodò una serie abnorme di coincidenze, paradigma della storia, se essa è da intendersi una serie di reti neuronali. Catone il giovane, figlio e nipote di catoni, che morì a Utica, nei pressi di quella Cartagine che suo nonno Catone il Censore aveva voluto distrutta. Morì in difesa della repubblica dai tiranni e i concussori. Dopo aver combattuto Spartaco, la rivolta dei seimila schiavi crocefissi lungo la via Appia dal concussore Crasso. E aver voluto e ottenuto, contro il cesarista Cesare, la pena di morte per Catilina e i suoi rivoluzionari. Finì sconfitto dai soldati di Cesare, che era stato giovane amante di sua sorella Servilia, la madre di Marco Giunio Bruto, il futuro cesaricida. Un’altra Servilia, figlia d’un fratello di Catone, sposata a Lucullo, aveva scandalizzato il pur libertino marito al punto da farsene ripudiare. La sua propria moglie Marzia l’Uticense incorruttibile aveva invece prestato incinta al ricco amico Quinto Ortensio, che voleva un figlio, riprendendosela dotata alla morte di quest’ultimo. Morì facendo harakiri, dopo aver letto il Fedone con gli amici. Ricucito, riaprì la ferita, si strappò le viscere e le spezzettò perché i chirurghi non potessero ricomporle: non ne poteva più di se stesso. Sua figlia Porzia, che Ortensio aveva chiesto in prima istanza a Catone come moglie a tempo, lascerà il marito Bibulo per il cugino Bruto, il cesaricida, e si ucciderà ingoiando carboni accesi, i parenti avendole sottratto ogni altro mezzo. È inutile indignarsi di fronte al cinico. La virtù può far male.

Tolleranza – È molto equivocata. Più di tutti da  Bettini, “Elogio del politeismo”,  129: “Nasce solo nell’ambito della cultura cristiana a partire dal V secolo”. Ma  poi lui stesso spiega che l’intolleranza non nasce con le religioni monoteiste. Anzi, le persecuzioni anticristiane non sono eccezionali come sembrano. Sono in linea con le persecuzioni che, per vari motivi, si erano applicate e si applicavano ai culti di Iside, Serapide e Bellone, e contro i Bacchanalia. Contro culti che si presume possano incitare ai disordini politici – “congiure, sedizioni, associazioni illecite” (Mecenate ad Augusto). La cosa si è riprodotta, per esempio, nel Sette-Ottocento in Giappone, dove i cristiani furono sospettati di tramare contro il culto dell’imperatore.
Più risolutivo il dibattito tra Ambrogio, vescovo di Milano e poi santo, e il prefetto di Roma Simmaco sul diritto di esporre la statua della Vittoria in Senato, nella ricostruzione che Massimo Cacciari ne ha fatto nel 2006, “La maschera della tolleranza”. “Non si può giungere in un solo modo al mistero di Dio”, dice cristianamente Simmaco. A cui il santo vescovo obietta con l’intolleranza.
Ma è il concetto in sé che è equivoco, evocando l’idea di un potere maggiore che ne accetta, limitatamente, uno min ore. Meglio della tolleranza è il riconoscimento, come è giunta da ultima a fare la chiesa di Roma, che è in qualche modo anche un’adozione, dei riti esterni e infine delle verità. Non si può fare altrimenti differenza “tra un altare e un altro” - Cacciari - o “tra chi crede in Dio e chi si interroga sul Dio ignoto”.

Vomito – È tema vergine alla riflessione, la revulsione intestinale. Una forme il più delle volte dell’incontrollabile somatizzazione. Non essendo una funzione corporale, come digerire, defecare. Ovvero sì, ma a forte componente nervosa. Del corpo che non si governa per leggi proprie (dipendenze, affinità, rifiuti), ma è soggetto a impulsi incontrollabili e non motivati, se non per un movimento dell’animo, irriflesso.

zeulig@antiit.eu

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