Barbara Bobulova è stata ad Africo, racconta ai
giornalisti a Venezia, per alcune scene del film di Munzi. Racconta anche che
“la polizia sconsigliò il regista di girare in quei luoghi: «Quando volevo
andare a prendere un caffè al bar, la produzione mi diceva di non andare da
sola. Ma ogni tanto scappavo, e non è mai successo niente”.
“Da Africo si vede meglio l’Italia”, secondo Munzi.
Ma dice anche che vi ha trovato “un Sud che si sente ancora parte distaccata
del Paese, che non si riconosce nell’interezza dell’Italia”. Non ancora, ma di nuovo. Il Sud ha creduto nell’Italia, più che Roma o il Nord –
più ciecamente: non c’èè Risorgimento più acritico di quello meridionale. Ricavandone solo bastonature.
Ora comincia a capire.
Munzi ritiene di dare meglio risalto a questa
(ritrovata) separatezza del Sud facendolo parlare in dialetto. E invece il
ritorno al dialetto è una sconfitta – in senso tencnico-militare: un
ripiegamento.
C’è chi ha avuto i veneziani in casa, uno
splendore, Candia-Creta, Corfù, Dalmazia-Croazia, Istria-Slovenia, e la
rifiuta. E chi ha avuto i Borboni, e li celebra.
Si ripubblica “L’uomo è forte” di
Corrado Alvaro, con questa nota biografica: “Arruolato nel 1915, viene ferito
alle braccia e congedato con una decorazione”. Non ne abbiamo saputo mai nulla,
mentre la stessa ferita diventa segno e materia di tutto Céline. Il riserbo era
un tempo virtù dei meridionali, ora lagnosi.
“Improvvisamente mi accorgo che gli abusi anni
60\70 non soffocano affatto la valle dei templi, come ripete il ritornello di
innumerevoli denunce. Gli orribili palazzoni soffocano piuttosto l’Akragas di
oggi”. Come Roma o Milano, si può aggiungere, l’edilizia “razionale” ha questo
difetto. Senza soffocare in realtà Agrigento, “una città viva, multirazziale,
accogliente”.
Lo scrive “la Repubblica” e c’è da crederci.
Essendoci andati più volte, e avendo beneficiato (più spesso in solitudine,
beneficio enorme) della Valle dei Templi, si può testimoniare a favore – questo
sito l’ha fatto più volte. Ma il fatto resta:
in quaranta-cinquant’anni l’unico inviato di giornale che c’è veramente
andato sarà stato Matteo Nucci, che di suo è scrittore.
Shi Yang Shi, attore comico italo-cinese, già
delle Iene, porta in tour lo
spettacolo “Tong men (g)”, la porta di bronzo. È entrato in Italia facendo il
lavapiatti in albergo a Cirò Marina, a dodici anni. Non una grande esperienza,
dice al “Corriere di Calabria”. Ma per questo non a disagio in Italia: “Ho una
cultura verace, e poi noi cinesi abbiamo una bonarietà, una ingenuità molto
simili a quelle meridionali”.
Shi è anche milanese d’adozione. Ma, si vede,
senza i pregiudizi.
Si legge “la Repubblca” nell’Aspromonte con la
cronaca di Palermo. Niente di più remoto. Eccetto che per le cronache, dominate
dal malaffare : corruzione, grassazioni, fatti di sangue.
Fa senso leggere, non solo nei giornali, anche
nei libri di storia e in quelli di Nicola Gratteri, dei rituali di ‘ndrangheta,
che invece non ne ha nessuno – “Osso, Mastrosso e Carcagnosso”, le “locali”, “la
Santa”, la cupola, i santini, il pungiutu.
Come se gli ‘ndranghetisti fossero scemi. Mentre sono gente di denaro (usura,
banca, finanza, piazzamenti), che espone i balordi, che peraltro paga
poco. Da dove vengono queste scemenze, a
che servono?
I mafiosi sono confidenti
“Tutti i cosiddetti boss della ‘ndrangheta sono
stati (solo in passato? Sembra difficile crederlo) confidenti di polizia,
carabinieri, guardia di finanza, servizi segreti”. Lo sanno tutti ma questa
volta lo dice Vincenzo Macrì, magistrato, già direttore della Dda di Reggio
Calabria – sul “Corriere della Calabria”, 4 settembre 2014. Uno che è “fautore” del “metodo pattizio”.
Per uno “scambio delle informazioni” opina, non per un patto scellerato. Che
tuttavia è “utile assai più alle cosche che non alle esigenze della
repressione”.
Il giudice cita romanzi e qualche pentito non
rispettabile. Ma anche due fatti. Il power
broker fra le cosche di Gioia Tauro e Rosarno, un commercialista di nome
Giovanni Zumbo, ora arrestato, che lavorava per i servizi segreti. E i
rapimenti di persona, i riscatti: “Anche la stagione dei sequestri di persona,
soprattutto nella fase matura del fenomeno, è stata caratterizzata da una fitta
elaborazione, riguardante soprattutto le modalità di pagamento del riscatto,
talvolta ad opera degli apparati dello Stato, e di redistribuzione dello
stesso….”.
Detto delle polizie, ma bisognerebbe dire anche
dei giudici.
“Fautore” della trattativa, nel caso di un
giudice, è da intendere non uno che la approva o ci crede. Ma, come tutti i
giudici, uno che la vorrebbe, anche se non se lo confessa, per poterla punire sbiancandosi
meglio la camicia. La mafia la combattono le polizie, non i giudici purtroppo,
che possono solo sanzionarla, quando un caso viene loro presentato. Il giudice
Macrì è uno che vede nel porto di Gioia Tauro il “nodo entrale nel Mediterraneo
dei traffici di armi, droga e merce contraffatta”. Niente di meno.
leuzzi@antiit.eu
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