Non più la Bellezza conduce al Sommo Bene, com’è stato l’uso da
Platone a Petrarca, no: il bene, l’utile, l’onesto e il dilettevole si legano
piuttosto alla Bruttezza. Per “acutezza” o “ingegno”, il gusto delle trovate
provocatorie che il Seicento premiava, ma non senza argomenti. Non tutti del
genere sofistico – “sono bravo a dimostrarvi qualsiasi cosa”. Se un secolo dopo
approderanno ai programmi parenetici di Mandeville (politico) e di Sade
(libidinale). E dopo ancora qualche decennio ai programmi protoromantici, il
“Laocoonte” di Lessing, e quello di Friedrich Schlegel, “Sullo studio della
poesia greca”. Per trionfare infine nel “barocco moderno” di Baudelaire e, dopo
il Surrealismo, in Bataille.
È un libro del curatore, Filiberto Walter Lupi, studioso del
libertinismo, sebbene il suo contributo sia limitato a un’introduzione
contenuta, talmente è pregnante. Del secolo dimenticato non solo, ma delle
numerose ragnatele che il libertinismo secentesco, specie quello veneto, di
Loredan e Ferrante Pallavicino oltre che di Rocco, aveva tessuto con la
letteratura umanistica, ovunque il pensiero fosse libero. A partire da Erasmo,
da una “cultura”, scrive Lupi, “armata dal paradosso e dall’ironia”. Passando
per “il nichilismo della scepsi moderna di un Gianfrancesco Pico e di un
Montaigne”. Con “l’uso aggressivo”, cioè crudo, del linguaggio di Ortensio
Lando o Niccolò Franco.
Il secondo dei “Discorsi accademici” di Rocco qui tradotti,
“Amore è un puro interesse”, è in linea con “L’Alcibiade fanciullo a scola”,
sui pregi dell’amore dei ragazzi. Di cui la paternità a Rocco è stata
riconosciuta a fine Ottocento – era filosofo in cattedra, dello studio di
Padova, e aveva formato due o trecento giovani ad addottorarsi.
Rocco non era veneto, era di Sgurgola Marsicana, che esiste, ma
fu ben veneziano. Per scetticismo e convivialità. Fu di casa nelle famiglie
eminenti, Strozzi e Loredan, e nelle rispettiva accademie, degli Unisoni e
degli Incogniti. Per il comune gusto della musica – fu consocio dei librettisti
veneti di Monteverdi, Giacomo Badoaro e Girolamo Brusoni. E per lo spiritaccio.
In quanto esponente dell’aristotelismo padovano Rocco si eresse a contraddittore
laico di Galileo, e questo lo ha segnato nella memoria – fervente aristotelico,
si ebbe da Galileo, che lo conobbe a Padova, del “pezzo di bue”, “balordone”,”ignorantissimo”,
“animalaccio”, “elefantissimo”. Ma tra le questioni che si ricordano degli
Incogniti figura il Niente – quindi siamo già a Heidegger? Della cultura non si
dovrebbe buttare nulla.
Antonio Rocco, Della bruttezza, Ets remainders, pp.
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