Redondi suppone che il processo si
basi su un lettera anonima, incompleta, senza destinatario e senza data, per
alcuni indizi riconducibile al gesuita
Orazio Grassi, che accusa Galileo di atomismo. Cioè di professare il materialismo.
Ma alla fine, dice, tutti si misero d’accordo per camuffare il peccato vero. Simulano
tutti, da Galileo al papa, passando per i gesuiti e altri accusatori. In
armonia coi tempi, si potrebbe dire. Redondi non lo dice ma fa come se.
Non manca nulla del complotto in
Redondi, nemmeno le carte contraffatte. Con un papa, Urbano VIII Barberini,
giovane, movimentista. Una copia del papa regnante quando il libro è uscito,
Govanni Paolo II, che chiese perdono per l’abiura imposta e volle Galileo quasi
santificato. Anche Urbano VIII preferiva Galileo – “lo scienziato del papa”, lo
chiama Redondi – ai gesuiti. Che tuttavia anche allora non erano cattivi.
Redondi fa appello a quegli indizi,
o interstizi, della ragione e della memoria che Carlo Ginzburg ha offerto come
leva di Archimede allo storico nel saggio “Spie” – incluso da Gargani nel volume
“Crisi della ragione”, 1980. Il “rigore elastico del paradigma indiziario” è definito
“ineliminabile”, dopo la constatazione che da Galileo in poi l’indirizzo
antropocentrico delle scienze si è segnalato o per poco rigore e molto
sviluppo, o per molto rigore e poco sviluppo.
Fin dalla prima pagina Redondi fa
balenare “giochi di riflessi… fonti discrete… specchi invisibili, il cui scopo
è di far apparire reali delle apparenze fittizie, rigorosa e irreprensibile l’opera
dell’astuzia e del compromesso”. Come metodo, seppure a specchio, è quello dell’Inquisizione.
I memorialisti delle lettere anonime, De Amicis, Sciascia, magari si divertiranno.
Qualche Procuratoei della Repubblica anche. Ma Galileo?
Ne resta poco. Anche se Rabelais non
avrebbe immaginato tanto per quasi 500 pagine. L’atomismo di Galileo l’anonimo
fa girare attorno all’“esempio del solletico, o della Titillatione”.
Pietro Redondi, Galileo eretico
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