Il racconto comincia ai 27 e
finisce ai 93 anni del protagonista, dopo una scorribanda sui primi 27. Narra
l’Algeria degli anni 1920-1930, tra favelhas
- borghi putridi - e carceri. Ma non felicemente. Il creatore di un’Algeria
splendente di ombre, e di storie politiche eccezionali, dall’Iraq alla
Palestina, passa dal fattuale al paradigmatico. Per non dire al predicatorio –
questa sua storia dell’Algeria è concepita, forse, e svolta come “La storia” di
Elsa Morante. Si comincia con un bambino filosofo, come un proletario che non
può disfarsi del giogo, come un “dannato della terra” a opera del destino. E si
prosegue con la stessa incongruenza. Un’esperienza su cui Gor’kij aveva elaborato
un secolo fa, di più, un modulo narrativo persuasivo, filante, di cui bizzarramente gli epigoni non tengono conto –
Infanzia”, Tra le gente”, “Le mie unversità”..
Lo scrittore franco-algerino
avrebbe suscitato in Francia con questo romanzo grande emozione, come di
narrazione popolare, storica, generazionale. È possibile, per gli algerini di
Francia e i residui pieds noirs,
francesi d’Algeria. Anche come ultimo, o penultimo, scrittore franco-algerino,
la francofonia è in disgrazia nel mondo arabo, dalla Siria al Libano e al
Maghreb. Ma arriva tardi, curiosamente, al mondo unidimensionale del neo realismo:
una disgrazia che tira l’altra, di più tirano quelle dei giovani, e il popolo
non si diverte mai - non sghignazza, come si sa, non ride, non sorride, non
vince mai una disgrazia, e non arma trabocchetti. Dal punto di vista, nel neo
realismo, della periferia urbana, che proietta il suo squallore su tutto il
vivente, più spesso accomunato a malinteso impegno sociale, e oggi forse della
depressione europea.
Khadra, a mezzo tra le due culture,
mette in scena l’Algeria del 1920-1930 in questo quadro. Con un pizzico di pícaro,
più che di storico o generazionale. Ma quanto distante da Mahfouz, che anche lui
faceva rivivere lo stesso mondo, periferico, arabo, degli stessi anni, ma appunto
lo faceva rivivere. Qui non solo la storia è nota, ma non un personaggio si ricorda,
un’azione. Orano, la città dello sfondo che oggi si direbbe multiculturale, è
di maniera – un po’ alla maniera della memoria ebraica a Smirne, o Tripoli di Libia, o
la stessa Orano, che si vuole grata all’impero ottomano. La prima persona poi falsa tutto - mette tutto in quadro:
troppo filosofo, storico, filologo e moralista, un ragazzo di novanta e passa
anni, che ricorda i suoi primi ventisette, cresciuto e vissuto in ogni sorta di
miserie.
Yasmina Khadra, Gli angeli muoiono delle nostre ferite,
Sellerio, pp. 433 € 16
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