Il poeta della fame, della terra,
delle erbe, delle piante, delle acque fu arrestato e processato dopo la guerra
come collaborazionista dell’occupante nazista. Passò due anni in manicomio,
dove redasse queste note, nelle quali ripercorre la vicenda giudiziaria. Fu
infine condannato a una pena pecuniaria, cioè alla povertà. A casa sua ma nel
disprezzo: pacchi di suoi libri gli venivano buttati dai concittadini nel
giardinetto.
Malgrado la sconfitta, è uno che
non si scusa e non si pente. Nobel del 1920, aveva mandato nel 1939 la medaglia-ricordo
del Premio in omaggio a Goebbels. Hitler non gli era piaciuto, un chiacchierone
– gli aveva parlato per ore di una ferrovia da costruire nell’estremo Nord
della Norvegia. Ma ne scrisse e pubblicò l’epicedio dopo morto a guerra
perduta, il 7 maggio 1945.
È un traditore che non si nega:
“Scrivendo, dicevo ciò che credevo”. E che cosa credeva? “Che la Norvegia
avrebbe occupato un posto assai eminente fra i paesi germanici d’Europa”. Il suo
credo è onesto, cioè manifesto – non il tipo “non sapevamo”, “non volevamo”. “Tengo
in alta considerazione il rispetto per l’autorità giudiziaria del mio paese”,
conclude: “Ma non più in alto della mia coscienza del bene e del male”.
Era stato esempio della cultura del
Blut und Boden, sangue e terra. Filotedesco
anche nella prima guerra, antianglosassonne, poiché antidemocratico, fin dalla
giovinezza. Pur avvalendosi, come notò Thomas Mann, “di influenze americane”,
oltre che russe, nella scrittura.
Knut Hamsun, Io traditore
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