venerdì 29 agosto 2014

La chiesa senza il sacro

Sono state abolite le processioni in Calabria per più motivi. Per una questione d’opinione pubblica anzitutto: poiché la Rai dice le processioni mafiose, non si sta a sottilizzare, si taglia l’evento. Per questioni di potere, tra i parroci e i comitati delle feste. Quando i vescovi hanno abolito le processioni, i comitati hanno abolito  le feste. Per questioni di soldi anche: i santi, le Madonne, le processioni generano una raccolta di fondi che i comitati delle feste pretendono di gestire e i parroci vorrebbero fare proprio. Questo motivo è stato anche discusso pubblicamente, con manifesti e manifestazioni, ed è l’argomento dei pettegolezzi. I comitati fanno valere di avere rimborsato – niente processione niente festa - tutti i contributi, piccoli e grandi, già raccolti poiché ne tengono la contabilità, mentre le offerte i parroci intascherebbero senza renderne conto.
Le Madonne del resto, esposte in chiesa nei giorni canonici senza processione, raccolgono sempre bigliettoni in forma di offerte, ex voto, segni di devozione, sacrificio personale, acquisizione di meriti – dell’Assunta e della Catena possiamo testimoniarlo di persona. In molti paesi i fedeli sono contro le feste civili, senza la processione – la festa religiosa. Appoggiano cioè i comitati laici delle feste. Specie in tante feste della Madonna di Porto Salvo, nei paesi di mare, Gioia Tauro Marina, Siderno, Melito. La Varia, invece, a Palmi, proprio quest’anno si è disgiunta dal suo senso religioso, che pure ne condiziona l’impianto e il senso, e si celebrerà domenica come evento tradizionale-folklorico, sotto il patrocinio dell’Unesco.
L’insolenza non è da escludere, né la stupidità. Non delle forze dell’ordine, per definizione furbesche: la 
mafia c’entra poco. Finora nulla: le processioni sono finite sotto accusa nel quadro del “tutto è mafia”, ma non ci sono incriminazioni. Non ci sono nemmeno indagini. Gli stessi adepti del tutto è mafia, essendo di solito anche devoti, non trovano fatti da contestare, volentieri s’impappinano. Non una misura di ordine pubblico, dunque. Piuttosto una rivoluzione dall’alto, come una volta si chiamavano quelle fasciste. Per ora solo sociale: una condanna aggiunta alle tante altre, una convivialità sempre più spenta. Uno stato d’assedio quasi perfetto, comprensivo del coprifuoco. L’esito è l’abbandono.
Neo catacombale
Il tema reale del divieto è un’altra chiesa. E forse nessuna chiesa. Che sembra eccessivo, ma è il filo forte della questione. Il neo vescovo di Locri nella sua prima lettera ai fedeli ha detto le processioni un residuo di paganesimo: “Resistono processioni dalla lunga durata, durante le quali tutt’altro si fa che pregare. Esse nascondono radici che sanno di paganesimo, o comunque sono evidente commistione tra sacro e profano”. Che non è un senso beghino della preghiera, come salmodia di un testo scritto. Piuttosto è detto, anhe se non si dice e forse non si sa, nel quadro di un’altra idea della chiesa, quella cosiddetta post-conciliare o neo-protestante, che è in realtà neo-catacombale. L’effetto è paradossale – ma evidente a chi lo vive: l’idea ammazzasanti è ecclesiastica. E così, mentre il laicismo ripropone il paganesimo, con altri dei, mitici, storici, avventurosi, galanti, la chiesa abdica ai suoi. 
Il clero ha sempre odiato le processioni: troppa fatica, troppa polvere, canti, musiche, offerte, invocazioni, lacrime. Che si labellano riti pagani. Negli ultimi decenni, postconciliari, anche la chiesa, nella sua ansia protestante di religione nuda, spoglia di tradizioni, ha patrocinato il sospetto, se non il rifiuto, del rito. Niente più incensi, labari, congregazioni in costume, statue, quadri, Madonne. Ma il rifiuto non è tanto ovvio quanto sembra.
Il rito è un bagaglio di cui sarà difficile liberarsi, per una miriade di ramificazioni e stratificazioni. Sulla Madonna, il Cristo stesso, gli innumerevoli santi. Di fatti magari inafferrabili, se non di leggende, ma oggetto di forti passioni – la volontà di credere è sempre forte. A meno di un effetto Sansone: se la chiesa non vuole tutto l’edificio crollerà, per quanto robusto e complesso, l’edificio della chiesa. 
Superstizione e paganesimo sono concetti polemici. In sé sono indefiniti: vaghi, inadeguati, scivolosi. Di essi si è sempre cominciato a indagare senza andare a fondo. E quindi vasti, tali da ricomprendere il rito, ogni rito. Lombardi Satriani, che più vi si è avvicinato, non dismetterebbe come irreale, e anzi peccaminosa, la funzione rituale. Il sacro è esso pure indefinito, e forse indefinibile, ma ha segni tangibili. Si prendano i miracoli. I due vescovi che hanno proibito le processioni in Calabria come pagane celebrano negli stessi giorni san Francesco da Paola che attraversa lo Stretto di Messina volando – ma il santo da Paola è tutto discutibile: un santo, lo ricorda Gay Talese che ne ha vissuto il culto in casa da parte del padre, che “si era fatto un credo di punire le pie pratiche e i rituali che persistono nell’Italia meridionale, ancora oggi dopo quasi sei secoli dopo la nascita del santo”, che moltiplica cioè, nel mentre che la vitupera, la sua propria devozione, la devozione di se stesso. La stessa devozione, il colloquio col sacro, è pagana, come no, la preghiera. Sciamanica, stregonesca. E i sacramenti?
Del resto, la chiesa può abolire il rito ma non la festa. Che dunque continuerà senza i santi e le Madonne. E già si fanno, per lo stocco, il pescespada, la patata, la soppressata, e perfino per la birra. Tutto il sacro, si sa, è discutibile. Specie alle menti semplici. Gli inchini della Madonna ai mafiosi sono il segno della confusione che periodicamente investe i fedeli, scuotendone la fede. Oggi della chiesa suddita della pubblica opinione. Anzi del talk-show, un tribunale di belli, dalla voce rotonda, e per questo persuasivi, quelli che dicono comunque le cose giuste. Sotto le parole niente.

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