“A morte!”, “A morte!”, lo
“spettacolo” all’ultimo atto della banda Bonnot è ancora vivido dopo cent’anni,
e ignari dei fatti – da ultimo: Bonnot e Dubois sparati e bruciati dagli sbirri
per paura nella casa di Choisy-le-Roi dove si erano rifugiati. Colette alla Camera?
L’aula sorda e grigia del Buonanima si fa solfatara. Proprio quella di Pozzuoli:
“Bolle qui, fermenta appena là; ci sono zone inerti, che l’ebollizione non ha
raggiunto, che non raggiungerà mai. Un angolo crepitante freme, si agita, come
quei posti della solfatara in cui la
sabbia, bollendo a secco, danza in grani irritati”. Colette in Corte d’Assise?
La dark lady del triangolo assassino ipnotizza
i giudici – e la cronista. Della banda Bonnot, anarchica e stupida (assaltava
le banche), anche il terrorismo torna vivo: il processo l’anno dopo ai
componenti processo. È anzi è un pezzo d’antologia – se se ne faranno - del
terrorismo, come poi abbiamo saputo con le Br in tribunale, tra “insolenza” e
“compiacimento di sé”, “la venerazione dello stampato, il fanatismo della
parola difficile”: “intossicati” dal “veleno della letteratura”, con la quale
“prendono contatto al modo dei bambini, degli illetterati e dei selvaggi: col dramma”. Tanti tipi diversi,
ma tutti “hanno purtroppo bevuto alla stessa pericolosa coppa: hanno letto”.
C’è anche il dissociato, muto, triste.
Drammaturgie semplici, di eventi
vari e tendenze (la fitness, la musica al ristorante, i numéro d’enfants), mostre, personaggi, di cui Colette fu cronista
per “Le Matin” nel 1912 e 1913, brevi e brevissime. Che si rileggono dopo
cent’anni come un mondo vivo. Sempre meno il personaggio, lei stessa, di cui si compiaceva, e sempre più scrittrice,
per grazia infusa, per lievito animale, per spirito lieve, una che resta del
Novecento francese.
Colette, Contes des mille et un matins, librio,
pp. 94 € 2
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