mercoledì 6 agosto 2014

La fine delle feste religiose in Calabria

Sembra un copione a soggetto. Tema: le Madonne. I vescovi impediscono la processione? I comitati cancellano la festa. Una questione di puntiglio, come sempre in questi posti, e di collere terribili.
Le collere terribili in genere recedono dopo un giorno, ma queste no. L’estate è dunque senza processioni e senza feste in Calabria. Niente luminarie, niente fuochi d’artificio, niente tamburi e novene, niente giganti né ciaramelle, niente concerti di vedettes in piazza, gratuiti.
Un giro d’affari di alcuni milioni che sfuma. Le vedettes pop tirano la cinghia, un centinaio di concerti sono stati annullati. E tutto il piccolo mercato delle luminarie, le pirotecnie, le fiere della festa.
Una cosa molto calabrese. Tanto più che nessuno crede alle storie degli inchini ai mafiosi. La rappresentazione di Tresilico, della Madonna inchinata al boss, pochi ci credono e a nessuno interessa.
In effetti, è più roba da chat e forum, il genere che una volta si liquidava come “lettere al direttore”. Ma ben montato: plot semplice, da idea geniale, la regia pure, poche ma ottime inquadrature, bene illuminate, ben montate. E sono finite le feste religiose in Calabria.
Un piccolo capolavoro, ma non ci voleva molta fantasia né determinazione. Pochi anni dopo il papa Giovanni Paolo II, che sfidò gli ateisti, convertendone molti, il papa Francesco, il papa nato oggi, non vuole critiche “a sinistra”, dai non credenti. L’ambiente era dunque propizio per l’azione. Ma non c’era nemmeno bisogno di un comandante laico della Legione Calabria per avere l’idea ammazzasanti: i preti hanno sempre odiato le processioni, troppa fatica, troppa polvere, riti pagani. Negli ultimi decenni, postconciliari, anche la chiesa, nella sua ansia protestante di religione nuda, spoglia di tradizioni, ha patrocinato il sospetto, se non il rifiuto, del rito. Niente più incensi, labari, congregazioni in costume, statue, quadri, Madonne. E così, mentre il laicismo ripropone il paganesimo, con altri dei, mitici, storici, avventurosi, galanti, la chiesa abdica ai suoi. 
Non una misura di ordine pubblico. Una rivoluzione dall’alto, come una volta si chiamavano quelle fasciste. Per ora solo sociale: una condanna aggiunta alle tante altre, una convivialità sempre più spenta. Uno stato d’assedio quasi perfetto, comprensivo del coprifuoco. L’esito è l’abbandono. Per ora del ritorno in paese, del mantenimento di un legame, per quanto tenue, con gli emigrati, in Italia, in Australia, in Canada. L’esito sono borghi muti. Colpevolizzati – più di quanto già lo erano, che non sembrava possibile. Deserti anche d’agosto, quando molti tornavano per la festa.
La festa era il motivo in più che gli australiani e i canadesi si davano per ritornare. Una o due volte nella loro vita restante, portandoci anche una figlia o un nipote. La certezza di offrirsi e di offrire loro un ritorno comunque gioioso, colorato, animato, di qualche interesse che non fosse la desolazione del paese abbandonato nei suoi lungi giorni magri. A maggior ragione il pretesto valeva per le famiglie cresciute a Milano o Roma: interrompere la vacanza dei figli, specie se adolescenti, piombandoli in una realtà che, seppure senza stimoli, perlomeno era festiva e in qualche modo celebrativa.
Ma potrebbe esserci di più. Il divieto è un rebbio o braccio di una sorta di tenaglia. Poiché la chiesa nello stesso tempo, e più ora questa del papa argentino, non si cura che del modernismo o laicismo. E fra i laici non delle anime in pena ma degli Scalfari e Odifreddi, gente di solida, massonica, professione di ateismo. Senza sapere, forse, che la via del laicismo è lastricata di cattive intenzioni. 

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