Di che rivedere il femminismo, e
l’amore. Trentasei storie tutte eccezionali, che lo scrittore greco Partenio
raccolse per il suo amico poeta latino Cornelio Gallo, come repertorio per le
sue esercitazioni, “un pro-memoria” lo dice nella dedica – i poeti non hanno il
tempo di sperimentare le passioni su cui si esercitano? Storie della mitologia,
di illusioni, delusioni, trucchi, tradimenti, e tradimenti di tradimenti. Da
sempre, si vede, giocate tra la passione d’amore (la volontà di amare) e le sue
esigue vicende.
Tutte storie, quindi, che finiscono
male, qualche lieto fine è casuale. L’amore dei greci, premette il curatore
Guido Paduano, è “perduto e subalterno”, per una “sua sostanziale estraneità
alla persona umana”. Se è vero, è da mani nei capelli. Una concezione
“essenzialmente apologetica (chi pecca per amore non è veramente colpevole,
perché l’amore non dipende dalla volontà dell’uomo, è il prodotto di una forza
esterna e irresistibile che si impadronisce di lui)”
È “assolutamente singolare in
questo corpus… quello che pure diventerà lo schema narrativo canonico delle
vicende amorose”, nel romanzo greco, in quello imperiale, e infine europeo: lo
schema dell’amore ch trionfa sulle invidie (degli dei) e sugli ostacoli. Anche
i meglio innamorati trovano ostacoli e incidenti: collane malefiche, morte in
guerra, sacrifici rituali, verginità intolleranti, la caccia, più spesso al
femminile. Con rovesciamenti normali di ruoli, la donna cacciatrice, l’uomo
confidente, la donna impavida, l’uomo vile, etc., - un altro tassello alla
revisione della vulgata femminista.
Partenio, Pene d’amore, Ets remainders, pp. 118 € 3,36
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