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giovedì 7 agosto 2014

Letture - 180

letterautore

Best-seller – Scogli a Tripoli? Sull’onda del successo di “Tu sei il male”, Marsilio moltiplica i Costantini, e il “Corriere della sera” lo serializza. Ma nella prima puntata de “Il male non dimentica”, titolo forse di Scerbanenco, Michele Ballistreri , l’alter ego del narratore, dice la madre morta sugli scogli a Tripoli – “non so se mentre precipitava verso gli scogli mia madre abbia pensato a me”. Cioè, dall’alto di un  precipizio la mamma è caduta sugli scogli. A Tripoli di Libia è impossibile.

Corpo Camilleri, dopo Sciascia, attribuisce a Pirandello una sorta di psicosi del corpo. “Il corpo è, per alcuni, la bestemmia assoluta”, esordisce l’autore di Montalbano in conversazione con Roberto Scarpa (in “L’ombrello di Noè”). Così è in effetti: il corpo è  stato – è ancora – il peccato grande, la colpa originaria. Le persone pie si lavavano poco per non toccarsi. È ancora ricordata nell’agro fiorentino la camicia da notte col ricamo: “Non lo fo per piacer mio ma per far piacere a Dio” – non è lazzo di miscredenti. Ma Camilleri, dopo Sciascia, ne fa una menomazione in particolare per Pirandello: “Pirandello del corpo, quando è vivo, ha sempre un enorme schifo e, quando è morto, lo definisce un orribile ingombro”.
In particolare, basandosi sulla biografia di Giudice, Camilleri collega la psicosi a un trauma infantile: Pirandello a sette anni esce di casa a Girgenti, cosa assolutamente proibita, sfuggendo al controllo della madre e della tata, per curiosare nella torre diroccata di fronte dove ha visto dalla finestra riporre un cadavere – la torre serviva all’esposizione temporanea dei cadaveri di sconosciuti, per favorirne il riconoscimento. Ma dentro, dietro la panca su cui è adagiato lo sconosciuto, una visione gli si palesa che lo traumatizza poco: “Sente un fruscio d’ali, un sommesso tubare. Alza lo sguardo, nessuna colomba. Il frullo continua, stranamente ritmico, ininterrotto. Si guarda attorno e vede in un angolo dello stanzone una coppia allacciata che si dondola curiosamente. Lei, la donna, ha in  testa un cappellino, segno ch’è una signora, ed è la sua sottana inamidata, alzata e stretta tra i due corpi, a produrre quel fruscio…”. Una delle “storie di costumi, francesi, che Camilleri coltiva nel tempo libero – una coppia che si dondola curiosamente anche dopo che è entrato il bambino?
Ma c’è uno scrittore italiano che si misuri col corpo, a parte i burleschi? Camilleri, per esempio, che lo fa, si limita al canone hollywoodiano di una scena di sesso al take numero ics. Ci sono gli odori, gli umori, le vertigini, le mancanze, i trasporti incontrollabili? C’è un po’ di possesso, magari reciproco, ma sbrigativo. 

Donna Ragno – La prima della Marvel, Jessica Drew, è del 1977. Ercole Luigi Morselli, il commediografo amico di Pirandello e Martoglio, ne scrisse nel 1915, un racconto che è probabilmente il primo di fantascienza in Italia.

Hitler - Più di tutto dava fastidio in Germania ai non nazisti nel 1932 e nel 1933 il cattivo tedesco di Hitler. Del “Mein Kampf” e dei discorsi. Ne parla ampiamente Lion Feuchtwanger ne “I fratelli Oppermann”, il romanzo su “tutto Hitler” pubblicato ai primi del 1933 in esilio. Con apprezzamenti per l’expertise filologica antihitleriana di Richard Kasper, un pubblicista che scriveva per il “Tagesanzeiger”. Non era il solo. Allora i più perplessi in Germania lo erano per il cattivo tedesco del “Mein Kampf”, più che per le cose che denunciava e minacciava. Per la filologia.

Scrittore.lavoratore – Fu prassi trattarlo da proletario, lavoratore salariato, nelle derive del ’68 – Cesare Garboli, per esempio, o i “Quaderni piacentini”. In termini pratici la cosa è però alquanto vera. In un modo: lo scrittore, l’artista, è uno stakanovista, lavoratore ossessivo. In un altro senso però è del tutto esornativo: non viene retribuito, né tanto né poco, non alla settimana né al mese, e neppure all’anno, per lo più mai in tutta la vita. Al più si può dire un accumulativo. Uno di quelli che comprano la casa per i figli: la retribuzione, se arriva, è postuma, per i figli e i nipoti.

Sciascia – Sopravvive, poco, come autore siciliano. Per cura di siciliani, in ambiti di sicilianità. Mentre è probabilmente l’autore nazionale del secondo Novecento, più e meglio di Pasolini. Ma lui stesso ha privilegiato la sicilianità, in una sua seconda parte di vita, in qualità di Personaggio, dopo averla rifuggita nella prima parte – dopo essere stato adottato da Parigi e su sollecitazione di Parigi? “Io non ho fatto altro che introdurre il dramma pirandelliano”, diceva da ultimo a Federico Campbell, suo traduttore e critico messicano, “ovvero il problema dell’identità, nel racconto poliziesco”. Mentre più che Pirandello ci ha introdotto Borges. Il poliziesco è una parte minima della sua opera. C’è il falso, il non detto (il mistero: Brunelli-Canera, Majorana, i pugnalatori), il lirico perfino, oltre al voltairiano, e anche l’avventura. E c’è, soprattutto quel gusto morbido per la contemporaneità, politica, sociale, che Pirandello assolutamente non aveva, sprofondato nelle origini, al limite del folklore, nell’idillio che non aveva avuto, oppure a rovistare nelle viscere delle cose, da chirurgo e non da contemporaneo, in una sorta di visionarietà.

Shakespeare – Il serenissimo mancava – o no, la genealogia shakespeariana è sterminata? C’è Otello infatti, tutto Otello, la storia e le sfumature, a Bassano del Grappa. Con la capra e la scimmia (Iago: “Anche se fossero lascivi come capre, focosi come scimmie…”), la dark lady, una famiglia con un “corno” sullo stemma, e il marito geloso – qui un farmacista. Non per caso dunque il Moro è di Venezia. – terminale di Cipro, l’isola omerica della dea Venere e la bellezza. In un’opera di meta ‘500, in tempo dunque perché Shakespeare la vedesse. Questo si scopre ora, al Museo Civico di Bassano che riapre dopo molti anni, e in un ampio salone esibisce l’affresco. Di Jacopo Bassano naturalmente, di cui il museo è custode, con 24 opere. Qui trasferito quarant’anni fa, con un restauro che s’intendeva definitivo, staccandolo dalla facciata di palazzo Del Corno, nella parte alta della città, esposta alle intemperie, che adornava dal 1541.
È Roger Prior, grande esploratore di Shakespeare, che ci trova le troppe “coincidenze”: la capra, la scimmia, il nome Otello, che fu Shakespeare a sovrapporre al Moro, il personaggio degli “Ecatommiti” di Giraldi Cinzio (che invece conteneva già Desdemona) da cui aveva preso la storia. E inoltre: la storia che si raccontava solo a Bassano, il farmacista (Brabantio, padre di Desdemona, accusa di stregoneria il seduttore della figlia: “Hai abusato della sua tenera giovinezza con l’aiuto di filtri o sostanze velenose che annullano la volontà”. E ancora: era conte Lazzaro Dal Corno, il committente, come il corteggiatore senza nome di Porzia nel “Mercante di Venesia”, e altrettali. Ma, certo, Venezia è fondale di molto Shakespeare, ben più che Verona o Milano, volumi se ne potrebbero scrivere su Shakespeare è veneziano.

Teatro – Più della vita è per Shakespeare nell’“Amleto”. E più che al monologo dell’“Essere o non essere”, in quello che lo precede: “Oh il furfante, il bifolco che sono”, là dove si meraviglia che l’attore si intenerisca per Ecuba – “Per Ecuba! Ma chi è Ecuba per lui, o lui per Ecuba da piangere per lei?” E che farebbe se avesse un motivo reale di sofferenza?  Amleto–Shakespeare trova “mostruoso” che “l’attore solo in una finzione, sognando la sua passione, possa forzare l’anima”, ma è un fatto e non uno scandalo, e come tale lo registra. C’è del teatro nella verità, come rappresentazione, come casting (attribuzione dei ruoli), come conteggio del peso (drammaticità) dell’evento – lo stesso evento può far ridere e può far piangere.

Tre - Gli arabi, che i numeri crearono, dissero il tre, numero fondamentale, thlathah. Che in greco, con lieve slittamento vocalico, è il mare. Si può dire che gli arabi, non conoscendo il mare, di cui si sentiva sempre parlare, ne fecero il tre.
Nick Tosches ha ne “La mano di dante” una filastrocca araba che attribuisce a un giudeo – un vecchio saggio che a Venezia demolisce Dante facendogli scoprire il suo limite, essersi imprigionato nella terzina: “Hun ‘askunu\ ‘ala al-thalatha\ fi al-thalatha\ fi al-thalatha”, io qui dimoro,\ nel tre\ che è del tre\ che è del tre”.

letterautore@antiit.eu

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