Africa – Era stata
“scoperta” prima di Gesù Cristo. È stata teatro scelto dell’imperialismo
italiano. Per esempio la Libia. E alimenta tuttora, tra le onlus e i
cooperanti, un acuto mal d’Africa. Ma resta incognita, un puro nome. Si vede
dalla Libia, che pure è un paese confinante: non sappiamo quanti sono i libici,
cosa fanno, se fanno qualcosa, cosa dicono e pensano, se pensano, e stanno alla
porta di casa. L’Africa è ancora il poema epico di Petrarca, che nessuno
ricorda, nemmeno i petrarchisti, o “L’Eritrea”di Cavalli, 1656, che è un’opera
in musica, per intendersi. È un puro nome. Per un rifiuto? Una segreta attrazione – le nostre
Madonne sono quasi tutte nere? Per la generale ignoranza.
Galileo – È letterato
tanto quanto scienziato, per vocazione e per qualità. Tuttora godibile, scrisse una delle prose italiane più vive, e si dilettò
dei linguaggi. Tra le sue opere anche un libello in veneto-padovano contro
alcuni dei suoi accusatori, “Dialogo de Checo Ronchitti da Bruzane in Perposito
de la Stella Nuova”.
Calvino ha rintracciato nella prosa di Galileo, nella sua narratività,
il mezzo per passare dall’esperienza al ragionamento, dalle figure del mondo a
quelle del discorso.
Fu probabilmente il più falsificato da Denis Vrain-Lucas, il falsario.
Non nella teoria scientifica ma nelle lettere, da lui scritte o a lui indirizzate,
con Descartes, Hobbes etc. Pietro Redondi aveva censito trent’anni fa, in “Galileo
eretico”, duemila autografi galileiani redatti in tre anni, e venduti,
resistendo strenuamente a ogni esame di autenticità, da Vrain-Lucas. Su un
totale di 27 mila, si può aggiungere –
tutte in francese… Di cui sarà chiamato a rendere conto in tribunale nel 1870,
ma con una condanna a due anni, con la condizionale, e 500 franchi di multa.
Italiano - Non è genere italiano, si diceva del romanzo,
del giallo, del libro di viaggio. Ora siamo sommersi da romanzi, gialli, e libri
di viaggio italiani. Ma degni del nome – romanzo, giallo, libro di viaggio?.
Marito – Non ce ne sono
molti nei romanzi, se non nella forma del marito cornificato del romanzetto, o
teatro leggero, borghese o di costumi. È soggetto trascurato anche in quest’epoca
di femminicidi. Il Bloom di Joyce
potrebbe esserne uno, ma è troppo ingombrante – in pratica c’è solo lui. Il più
in tono è quello di Pirandello, “Giustino Roncella nato Boggiòlo”, prima cioè
di prendere il nome della moglie, scrittrice di cui vuole creare la fama. La prima edizione del libro, 1911, era anzi
intitolata “Suo marito”, il saprofita di lei.
Polizia – È istituto del
Settecento, da policé, ordinato,
pulito, educato. E come tale si rappresenta nell’immaginario, a protezione dell’ordine
- ancora gode di credito incondizionato la Polizia propriamente detta, come i
Carabinieri e la Guardia di Finanza, la cui ambizione nemmeno recondita è invece lo sbirrismo. Nonché a
fondamento del gallo, in qualsiasi forma, anche cioè quando si fa giustizia contro
la polizia. È invece di fatto, nella realtà, all’origine del disordine: si vede
nei casi concreti come opposti ai serial tv e ai gialli. Intempestiva, lenta,
sciatta. Sempre burocratica, e tendenzialmente superficiale, senza formazione
specifica, sprovveduta.
Come
tale, senza polemica, la rappresenta Mankell, lo scrittore svedese che un
poliziotto ha eretto a suo protagonista, in cui tutto l’ordinario dell’attività
di polizia è casuale, distratto, e spesso nocivo..
Statue – Quante animazioni,
soprattutto muliebri, promuovono, nell’immaginario e anche nella realtà
(follia). Di un certo tipo di dame si diceva a Venezia nel Seicento che erano
amanti di stature di marmo. L’Ermafrodto alla Galleria Borghese presenta
un’oscena testimonianza di assidua frequentazione nelle parti sensibili. Heine
comincia a far rivivere i vecchi nomi, ne “Gli dei in esilio”, ritracciando i
racconti che gli stessi facevano rivivere in forma statuaria. Giovani che
perdono la testa, in senso proprio, per simulacri di bellezza. Spiriti malefici
che s’incarnano in belle sembianze. E la Venere del Venusberg che innamorerà
pazzamente Tannhäuser, l’eroe-giovane che Heine in più versioni immortala,
anche per Wagner. Di autori noti e meno noti: Kronmann, Delrio, il teologo
fiammingo del secondo Cinquecento esperto di stregonerie, Eichendorff, Wilibald
Alexis, Merimée.
Il genere restò vivo anche
successivamente. La fontana delle Naiadi in piazza dell’Esedra a Roma, opera dello scultore palermitano Mario
Rutelli, bisnonno di Francesco, si discusse un secolo fa se recintarla, contro
le troppe visite notturne che si facevano alle statue.
.
Viaggio – Le lett(erat)ura dell’erranza,
come oggi si nomina, poiché se ne fanno festival, e il festival vuole novità, non
è genere italiano, si diceva, ed è vero.
Se ne scrivono molti, nessuno si ricorda - se non forse, ma in pochi,
Machiavelli in Germania, o Algarotti in Russia - e quasi niente si apprezza
leggendo. L’“Impegno controvoglia” di Moravia ne registra
involontariamente il motivo, alla p. 98. Agli studenti della Sapienza Fuksas,
Scalzone, Valerio Veltroni, Duccio Staderini e Sergio Petruccioli, con i quali
è in dibattito e che lo contestano, Moravia ribatte da pari a pari. Finché
Fuksas non gi contesta il libro appena pubblicato sulla Cina: “Tutto sommato,
quel suo libro assomiglia molto a un viaggio di un certo De Amicis in Africa”.
Allora Moravia sbotta. “E perché non ai viaggi di Goethe, di Stendhal, di
Hemingway, di Freya Stark?” Perché no, ce lo chiediamo ancora, di Moravia e di
ogni altro letterato italiano in viaggio.
C’è una tradizione di viaggio e una letteratura
di viaggio sempre viva, inglese, in parte americana, anche francese, tedesca,
russa, ma non italiana. Ci sono molti libri di viaggi, che non dicono niente.
Dopo un anno o due, e anche quando escono. A proposito della Cina Moravia
aggiungeva: “Non è un saggio politico-sociologico, è un libro in cui racconto
quello che ho visto e pensato personalmente”. Il letterato italiano vede allora
poco, a giudicare da quello che scrive, mentre pensa politico-sociologico. Cioè
pregiudiziato. Su frasi fatte, perfino di (ex) partito. Non dal punto di vista
della grande storia dei popoli, anche comparativa – con l’Italia, con l’Europa,
con l’Occidente. Per la quale il letterato viaggiatore italiano non ritiene
necessario possedere i necessari riferimenti. Né dal punto di vista dell’altro,
né antropologico, né etnico e neppure sociologico: no, dal punto di vista del suo
ordinario, quello che al tempo di Moravia si chiamava politico-sociologico – le
frasi fatte
Il letterato italiano, anche giovane e
giovanissimo, non ha occhi in realtà. Un piccola moda di viaggi in Italia si è
diffusa qualche anno sull’orma umorale di Ceronetti, ma come un altro modo di
esternare i problemi adolescenziali, con tocchi di neorealismo, scolastici. Gli
articoli di Moravia in viaggio per il mondo, per il “Corriere della sera” e
“L’Espresso”, raccolti in “Impegno controvoglia”, solo testimoniano la polemica
Est-Ovest: Moravia va a Cuba, in Messico, a Kyoto, in Bolivia sule tracce del
Che, e trova solo l’antiamericanismo. Poteva fare a meno.
Montale ci sarebbe riuscito. Lui che ha i
platani bianchi a Ginevra. E “i gabbiani si spollonano”. Ma era pigro. E non ci
teneva – genere infimo, giornalistico, rispetto alla poesia.
Non c’è rimasto che Rumiz - a distanza di decenni i suoi
lettori girano col foglio di giornale stropicciato, per l’Appennino, per
Costantinopoli, mai si vede delusi. Che però, a
differenza della sue prime corrispondenze dalla Jugoslavia in fiamme, in tempo
di pace ha bisogno di teatralizzare,
mettere in scena: la 500, Annibale, il treno. Trovarobato che si ricorda più
delle cose.
letterautore@antiit.eu
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