È passata a Berlino Ovest per caso,
portata dalla folla, uscendo dalla palestra, col borsone a tracolla. E questo è
tutto quello che se ne dice, anche se alla caduta del Muro aveva 34 anni, e
quindi un passato. Con lei è così: indistinzione e grigiore. Mentre è solida. Della
Ddr, per esempio, la Repubblica Democratica Tedesca, ha preso il realismo del
potere, che è mediocre: “Anziché costituire un handicap, la sua resistenza a impegnarsi sulle questioni
di principio superiori si è convertita in un’arma”. A tratti anche l’Angela Merkel
di questo libro critico è semplice.
I
pugni in tasca
Un libro curioso. Un quadro più che
la promessa stroncatura. Il più del lungo testo è inafferrabile. Anche come antipatia: Gertrud Höhler gira attorno alla inamovibile cancelliera con le banderillas ma non sa mai dare la stoccata. Portare a fondo il suo proposito di demolirla.
Non è una vita ma un’analisi politica, limitata agli ultimi venticinque anni dei quasi sessanta di Angela Merkel. Dettagliata, fin troppo, per 280 pagine grandi, piene, e già per questo rispettosa. Agrodolce, concettosa, è più problematica che esplicativa o risolta, malgrado l’impianto aggressivo. L’unico punto debole che le trova è, in definitiva, indimostrato: che il partito la subisce, dice Höhler ogni paio di pagine, coi “pugni in tasca”.Di Schäuble compreso, che resta in carriera, il solo della vecchia guardia, perché ha accettato un ruolo gregario.
Non è una vita ma un’analisi politica, limitata agli ultimi venticinque anni dei quasi sessanta di Angela Merkel. Dettagliata, fin troppo, per 280 pagine grandi, piene, e già per questo rispettosa. Agrodolce, concettosa, è più problematica che esplicativa o risolta, malgrado l’impianto aggressivo. L’unico punto debole che le trova è, in definitiva, indimostrato: che il partito la subisce, dice Höhler ogni paio di pagine, coi “pugni in tasca”.Di Schäuble compreso, che resta in carriera, il solo della vecchia guardia, perché ha accettato un ruolo gregario.
Si arriva al nocciolo per tracce:
la “gelida prosa”, il sorriso di ghiaccio, l’imperscrutabilità, la spietatezza
nel partito, da cui ha eliminato tutte le teste pensanti, le alleanze
opportuniste, l’omertà (“chi parla rischia di tradirsi” è, secondo Höhler, la
sua divisa e anzi il suo schema mentale), gli slogan senza vita e presto
dimenticati – “il secolo cristianodemocratico”, “il partito di massa più
moderno d’Europa”, “una visione, una speranza, una direzione”. Ma, poi, è vero
che quindici dei primi venti anni del secolo saranno stati suoi, e cristiano-democratici.
E che la Cdu-Csu è l’unico partito moderno del Ppe, il raggruppamento popolare
europeo, cioè funzionante, attivo.
La Cancelliera ha sbagliato due elezioni
presidenziali (Köhler e Wulff) e ha fallito la terza (Gauck), e tuttavia è
rimasta salda in sella. Ma poi Gauck è stato eletto, benché contro di lei, e
cosa è successo? A metà del mandato niente. Molto sopravvalutato è anche, nella
trattazione, il partito Liberale, in quanto vittima della Cancelliera.
È pure vero che Angela Merkel resta
una sfinge. Una ventina di libri sono stati scritti da e su di lei, senza
enuclearne una personalità. Ha all’attivo due governi di centro-sinistra e uno
di centro-destra: basta questo per consacrarla politica di prim’ordine. Ma
resta inafferrabile, agli stessi che la conoscono meglio. “La rispetto, ma non
riesco a discernerla”, dice il presidente Gauck, che viene anche lui dall’Est
e, in quanto pastore protestante, dovrebbe condividere gli umori e i valori della
famiglia nella quale Merkel è cresciuta.
L’unica traccia riconoscibile che
Höhler abbozza del modus operandi
merkeliano è il “troppo poco troppo tardi” che le viene rimproverato in ambito
europeo, nei diversi scacchieri, il debito, le banche, le guerre, etc., e anche
in ambito nazionale. Troppo tardi per risolvere alcunché, ma abbastanza per
acquisire prestigio e forza contrattuale, quel poco e tardi avendo un prezzo,
di riconoscenza, di illuminata - prudente - leadership.
Il titolo italiano, col sottotiolo
“Come la cancelliera mette in pericolo la Germania e l’Europa”, è in effetti
diverso da quello originale, “Die Patin” – che tra l’altro si sarebbe
ottimamente tradotto “La Padrina”. Il sottotitolo tedesco è ancora più chiaro,
seppure in chiave di Scienza della Letteratura, di cui Höhler è stata a lungo
accademica, prima di diventare imprenditrice della comunicazione, apprezzata
consulente di grandi kombinat – debuttò nella consulenza con Deutsche Bank
venticinque anni fa per mezzo milione di euro, così vanta la sua biopedia –
nonché confidente, dice qui in una piega, di Kohl al momento della caduta. “Wie
Angela Merkel Deutschland umbaut” si può tradurre “come Merkel decostruisce la
Germania” – la Costituzione, la democrazia, i valori umani e sociali (ma della Germania
tutta o non della vecchia repubblica di
Bonn, tutt’altro animale?).
Dopo
Me(rkel) il diluvio
Al peggio Höhler la fa cinica:
“Peggio andava l’Europa, meglio andava la Germania”. Ma non tanto. La fa anzi
“responsabile” di avere accettato di aiutare le economie europee deboli. Cioè colpevole,
a giudizio di Höhler. La quale è di quelli che giudicano “illegali” gli impegni
presi da Angela Merkel, ancorché riluttanti, limitati e tardivi, a sostegno
dell’euro, e quindi delle economie troppo indebitate. La federazione europea è
incostituzionale, né più né meno, ribadisce più volte, sia pure limitatamente ai
bilanci.
La critica sembra ricalcare quella
dei filosofi e sociologi politici grandi europeisti, Habermas, Beck, Offe,
Streeck, e dello scrittore Enezensberger: “L’obiettivo del Fiscal Compact è il
controllo. I forti puniscono i deboli – oppure no, come mostra il più recente
episodio riguardante la Spagna. Il patto è soprattutto una manovra per
ingannare l’opinione pubblica: serve a garantire il dominio tedesco sull’Europa”.
Ma è una critica in una prospettiva tedesca, di piccola Germania se si può
dire: Angela Merkel travalica i suoi poteri imponendo l’Europa alla Germania.
Mentre – è il leitmotiv della trattazione – “i trattati europei escludono che
uno Stato debba essere responsabile per altri”, la politica dell’euro è
incostituzionale.
Una posizione non isolata né
intellettualistica, come si sa, poiché ha dietro schiere di giuristi ed economisti,
la Bundesbank, la Corte Costituzionale. Oltre alla stampa., dalla “Bild” allo
“Spiegel”. Höhler è anche della tesi che “l’euro non ha incoraggiato ma impedito
la stabilizzazione delle condizioni di vita degli europei”. Che può essere assunto
interessante. Ma lo liquida in tre righe. Come per sgravio di coscienza:
l’Europa non c’è in questa trattazione se non come aggravio.
La crisi ha avuto due fasi e due
diverse nature: una bancaria e una del debito. Risolta fortunosamente, con
enormi fondi europei, la crisi bancaria, nella quale la Germania era la più
esposta, l’ottica è stata stravolta. La Germania per il solito vittimismo, o
Angela Merkel per imperizia, hanno aggravato senza necessità quella del debito.
Che in buona misura è dovuta alla prima. Gli Stati si sono indebitati, anche
molto, per evitare fallimenti in banca. Höhler lo riconosce, indirettamente: “Nella
crisi del debito sovrano europeo Angela Merkel possiede un vantaggio tattico: è
tanto poco europeista quanto conservatrice”.
La
forza
Che altro? Una donna a capo della
Cdu? “I forti se ne vanno, i deboli restano”. Ma questa donna non è anche a
capo della Germania? E i forti dove sono, tutti nella riserva della Repubblica,
allo zoo? O: la crisi è sempre “la crisi degli altri”. E sarà pure questo il
pensiero di Merkel, ma la Germania cos’altro pensa? Lei lo dice sempre ai suoi
colleghi europei: “Senza di me il diluvio”, e nessuno sa che obiettare.
La forza politica di Angela Merkel
è l’ottima uscita della Germania dalla crisi bancaria. Non sarà stata una
strategia, ma il fatto c’è. Merkel è anche una che “ha vinto due elezioni
perse”, Höhler stessa lo ricorda più volte. Che non è da poco: ha mantenuto il
controllo della Cdu, anzi l’ha rafforzato, pur perdendo le elezioni, dopo aver
liquidato il suo maestro e patrono Kohl. È una leader di apparati, se non di
idee. Ma anche d’immagine, perfino fisica. Che ora ha tutti uomini suoi, e
donne, nel partito, nello Stato (Bundesbank, Corte Costituzionale, la stessa
presidenza della Repubblica dell’antipatizzante Gauck), e nei Länder.
In Germania, inoltre, i dieci anni
ultimi hanno visto un incrocio scoperto tra sinistra e destra, una serie di innesti.
Ma con una differenza: il socialista Schröder ha fatto le “cose” della Cdu-Csu,
e ha perso, Merkel ha fatto molte “cose” della Spd, il partito socialdemocratico,
e ha vinto. In quanto ex Ddr troverà pure naturale, come dice Höhler, ampliare “l’immagine
tradizionale della Cdu… in direzioni tipiche della Spd”. Ma l’ha fatto con
successo. I diritti della donna e la parità nella coppia, per esempio. Le politiche
ambientali, a partire dalla chiusura del nucleare. L’attenzione agli equilibri
internazionali: la solidarietà incondizionata a Israele, il contatto costante
con Mosca, il ruolo in Europa, con la Francia in liquidazione politica da
troppe presidenze, il viaggio annuale in Cina.
La solidarietà con Israele, che Höhler
critica, fu un atto eroico della grigia cancelliera: andare alla Knesseth, dove
molti lasciarono la sala al suo ingresso, per i sessant’anni di Israele, cioè
di uno Stato che fino a pochi anni prima
rilasciava passaporti con l’esplicita menzione: “Valido per tutti i paesi
eccetto la Germania”. Che ricorda (freddamente? semplicemente?): “Ci sono
voluti quarant’anni prima che la
Germania nel suo insieme riconoscesse e abbracciasse insieme la sua responsabilità
storica e lo stato di Israele” (la Germania Est non riconosceva Israele). E non
parla di “ragione di Stato”, come Höhler le rimprovera, ma di “ragione
d’essere”. In questa formulazione, dopo aver richiamato la necessità di due
Stati in Palestina: “Qui soprattutto voglio esplicitamente sottolineare che
ogni governo tedesco e ogni cancelliere tedesco prima di me si è assunto una
responsabilità storica speciale per la sicurezza di Israele. Questa
responsabilità storica è parte della raison
d’être del mio paese”..
La formazione tedesco-orientale è
risolutiva soprattutto nel governo del partito.
È il miglior contributo che Höhler dà al lettore, al paragrafo “La
nascita del sistema M.”, ed è quello che spiega il “fenomeno Merkel”: la conquista
del potere attraverso la rimodellazione della Cdu, le persone, le politiche e
la comunicazione. Non annunciando, né promettendo o minacciando, ma facendo –
l’opposto, si potrebbe dire, del “sistema R.”, o Renzi: “È una filosofia
totalmente priva di pathos, quella che Merkel ha sviluppato nel suo bozzolo
orientale”.
Gertrud Höhler, Sistema Merkel, Castelvecchi, pp. 287 €
15
Lo storico potrebbe dire, con buone
ragioni, che Angela Merkel si è bene posta al Centro, lo spazio politico
dominante nel dopo-Muro. Forse ci era portata, nella sua apparente
spassionatezza, e si è trovata al posto giusto al momento giusto. A capo di un
partito che aveva concluso con Kohl un ciclo storico, quello del containment vittorioso, del muro contro
il Muro, e non aveva leadership né
politica di ricambio. Angela Merkel, politica per caso, ha interpretato i nuovi
umori per la sua estraneità al ciclo che si è chiuso, e per una caratteriale
propensione all’accomodamento senza pregiudiziali. Non ideologiche, e nemmeno
politiche. La Germania riunificata voleva vivere in pace con se stessa, senza
“estremismi” (scelte definite) come ama dire, cioè senza politica. Che
subliminalmente intendeva un’estensione del senza colpa. E la Cancelliera
venuta dal nulla era la persona giusta per reggere questo intervallo.
Conservatrice, progressista? Europeista, nazionalista? Equilibrata, cinica? Queste
dicotomie non hanno senso per la Germania, e quindi non sono un problema per
lei. “E…e”, “Sia… sia”, può non essere nel suo caso un’opportunistica
indifferenza, ma la politica più consona alla Germania del dopo-Muro e della
coeva globalizzazione, della ristrutturazione feroce, la delocalizzazione, la
libertificazione del lavoro – il diplomato a un euro l’ora.
Questa come tutte le altre
riflessioni sull’era Merkel non tengono conto che la sua è un’altra Germania.
Un’altra da quella stessa di Kohl, che pure promosse e per un decennio gestì la
riunificazione, ma era di altre radici, geografiche e storiche. La Germania
riunificata è tutt’altro animale politico. Sta a Berlino e non sul Reno. Era un
paese più intraprendente ma non più grande degli altri paesi maggiori d’Europa,
Francia, Gran Bretagna: c’era un equilibrio. E non ha più i russi a Berlino.
Era un paese a metà cattolico e della cultura del vino. Ora la cattolicità - se
non il vino, che è trendy e a premio
– è una minoranza e una nuisance.
Ancora ci si meraviglia dell’estraneità della Germania al “suo” papa, Benedetto
XVI. Avendo scritto un libro per dire questa diversità, ed avendone ricevuto
sdegnati silenzi e inimicizie, questo è il suggello che il mutamento è
radicale: non si argomenta più.
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