venerdì 1 agosto 2014

Angela la Padrina

È passata a Berlino Ovest per caso, portata dalla folla, uscendo dalla palestra, col borsone a tracolla. E questo è tutto quello che se ne dice, anche se alla caduta del Muro aveva 34 anni, e quindi un passato. Con lei è così: indistinzione e grigiore. Mentre è solida. Della Ddr, per esempio, la Repubblica Democratica Tedesca, ha preso il realismo del potere, che è mediocre: “Anziché costituire un handicap, la sua resistenza a impegnarsi sulle questioni di principio superiori si è convertita in un’arma”. A tratti anche l’Angela Merkel di questo libro critico è semplice.
I pugni in tasca
Un libro curioso. Un quadro più che la promessa stroncatura. Il più del lungo testo è inafferrabile. Anche come antipatia: Gertrud Höhler gira attorno alla inamovibile cancelliera con le banderillas ma non sa mai dare la stoccata. Portare a fondo il suo proposito di demolirla.
Non è una vita ma un’analisi politica, limitata agli ultimi venticinque anni dei quasi sessanta di Angela Merkel. Dettagliata, fin troppo, per 280 pagine grandi, piene, e già per questo rispettosa. Agrodolce, concettosa, è più problematica che esplicativa o risolta, malgrado l’impianto aggressivo. L’unico punto debole che le trova è, in definitiva, indimostrato: che il partito la subisce, dice Höhler ogni paio di pagine, coi “pugni in tasca”.Di Schäuble compreso, che resta in carriera, il solo della vecchia guardia,  perché ha accettato un ruolo gregario.
Si arriva al nocciolo per tracce: la “gelida prosa”, il sorriso di ghiaccio, l’imperscrutabilità, la spietatezza nel partito, da cui ha eliminato tutte le teste pensanti, le alleanze opportuniste, l’omertà (“chi parla rischia di tradirsi” è, secondo Höhler, la sua divisa e anzi il suo schema mentale), gli slogan senza vita e presto dimenticati – “il secolo cristianodemocratico”, “il partito di massa più moderno d’Europa”, “una visione, una speranza, una direzione”. Ma, poi, è vero che quindici dei primi venti anni del secolo saranno stati suoi, e cristiano-democratici. E che la Cdu-Csu è l’unico partito moderno del Ppe, il raggruppamento popolare europeo, cioè funzionante, attivo.
La Cancelliera ha sbagliato due elezioni presidenziali (Köhler e Wulff) e ha fallito la terza (Gauck), e tuttavia è rimasta salda in sella. Ma poi Gauck è stato eletto, benché contro di lei, e cosa è successo? A metà del mandato niente. Molto sopravvalutato è anche, nella trattazione, il partito Liberale, in quanto vittima della Cancelliera.
È pure vero che Angela Merkel resta una sfinge. Una ventina di libri sono stati scritti da e su di lei, senza enuclearne una personalità. Ha all’attivo due governi di centro-sinistra e uno di centro-destra: basta questo per consacrarla politica di prim’ordine. Ma resta inafferrabile, agli stessi che la conoscono meglio. “La rispetto, ma non riesco a discernerla”, dice il presidente Gauck, che viene anche lui dall’Est e, in quanto pastore protestante, dovrebbe condividere gli umori e i valori della famiglia nella quale Merkel è cresciuta.
L’unica traccia riconoscibile che Höhler abbozza del modus operandi merkeliano è il “troppo poco troppo tardi” che le viene rimproverato in ambito europeo, nei diversi scacchieri, il debito, le banche, le guerre, etc., e anche in ambito nazionale. Troppo tardi per risolvere alcunché, ma abbastanza per acquisire prestigio e forza contrattuale, quel poco e tardi avendo un prezzo, di riconoscenza, di illuminata - prudente - leadership.
Il titolo italiano, col sottotiolo “Come la cancelliera mette in pericolo la Germania e l’Europa”, è in effetti diverso da quello originale, “Die Patin” – che tra l’altro si sarebbe ottimamente tradotto “La Padrina”. Il sottotitolo tedesco è ancora più chiaro, seppure in chiave di Scienza della Letteratura, di cui Höhler è stata a lungo accademica, prima di diventare imprenditrice della comunicazione, apprezzata consulente di grandi kombinat – debuttò nella consulenza con Deutsche Bank venticinque anni fa per mezzo milione di euro, così vanta la sua biopedia – nonché confidente, dice qui in una piega, di Kohl al momento della caduta. “Wie Angela Merkel Deutschland umbaut” si può tradurre “come Merkel decostruisce la Germania” – la Costituzione, la democrazia, i valori umani e sociali (ma della Germania tutta  o non della vecchia repubblica di Bonn, tutt’altro animale?).
Dopo Me(rkel) il diluvio
Al peggio Höhler la fa cinica: “Peggio andava l’Europa, meglio andava la Germania”. Ma non tanto. La fa anzi “responsabile” di avere accettato di aiutare le economie europee deboli. Cioè colpevole, a giudizio di Höhler. La quale è di quelli che giudicano “illegali” gli impegni presi da Angela Merkel, ancorché riluttanti, limitati e tardivi, a sostegno dell’euro, e quindi delle economie troppo indebitate. La federazione europea è incostituzionale, né più né meno, ribadisce più volte, sia pure limitatamente ai bilanci.
La critica sembra ricalcare quella dei filosofi e sociologi politici grandi europeisti, Habermas, Beck, Offe, Streeck, e dello scrittore Enezensberger: “L’obiettivo del Fiscal Compact è il controllo. I forti puniscono i deboli – oppure no, come mostra il più recente episodio riguardante la Spagna. Il patto è soprattutto una manovra per ingannare l’opinione pubblica: serve a garantire il dominio tedesco sull’Europa”. Ma è una critica in una prospettiva tedesca, di piccola Germania se si può dire: Angela Merkel travalica i suoi poteri imponendo l’Europa alla Germania. Mentre – è il leitmotiv della trattazione – “i trattati europei escludono che uno Stato debba essere responsabile per altri”, la politica dell’euro è incostituzionale.
Una posizione non isolata né intellettualistica, come si sa, poiché ha dietro schiere di giuristi ed economisti, la Bundesbank, la Corte Costituzionale. Oltre alla stampa., dalla “Bild” allo “Spiegel”. Höhler è anche della tesi che “l’euro non ha incoraggiato ma impedito la stabilizzazione delle condizioni di vita degli europei”. Che può essere assunto interessante. Ma lo liquida in tre righe. Come per sgravio di coscienza: l’Europa non c’è in questa trattazione se non come aggravio.
La crisi ha avuto due fasi e due diverse nature: una bancaria e una del debito. Risolta fortunosamente, con enormi fondi europei, la crisi bancaria, nella quale la Germania era la più esposta, l’ottica è stata stravolta. La Germania per il solito vittimismo, o Angela Merkel per imperizia, hanno aggravato senza necessità quella del debito. Che in buona misura è dovuta alla prima. Gli Stati si sono indebitati, anche molto, per evitare fallimenti in banca. Höhler lo riconosce, indirettamente: “Nella crisi del debito sovrano europeo Angela Merkel possiede un vantaggio tattico: è tanto poco europeista quanto conservatrice”.
La forza
Che altro? Una donna a capo della Cdu? “I forti se ne vanno, i deboli restano”. Ma questa donna non è anche a capo della Germania? E i forti dove sono, tutti nella riserva della Repubblica, allo zoo? O: la crisi è sempre “la crisi degli altri”. E sarà pure questo il pensiero di Merkel, ma la Germania cos’altro pensa? Lei lo dice sempre ai suoi colleghi europei: “Senza di me il diluvio”, e nessuno sa che obiettare.
La forza politica di Angela Merkel è l’ottima uscita della Germania dalla crisi bancaria. Non sarà stata una strategia, ma il fatto c’è. Merkel è anche una che “ha vinto due elezioni perse”, Höhler stessa lo ricorda più volte. Che non è da poco: ha mantenuto il controllo della Cdu, anzi l’ha rafforzato, pur perdendo le elezioni, dopo aver liquidato il suo maestro e patrono Kohl. È una leader di apparati, se non di idee. Ma anche d’immagine, perfino fisica. Che ora ha tutti uomini suoi, e donne, nel partito, nello Stato (Bundesbank, Corte Costituzionale, la stessa presidenza della Repubblica dell’antipatizzante Gauck), e nei Länder.
In Germania, inoltre, i dieci anni ultimi hanno visto un incrocio scoperto tra sinistra e destra, una serie di innesti. Ma con una differenza: il socialista Schröder ha fatto le “cose” della Cdu-Csu, e ha perso, Merkel ha fatto molte “cose” della Spd, il partito socialdemocratico, e ha vinto. In quanto ex Ddr troverà pure naturale, come dice Höhler, ampliare “l’immagine tradizionale della Cdu… in direzioni tipiche della Spd”. Ma l’ha fatto con successo. I diritti della donna e la parità nella coppia, per esempio. Le politiche ambientali, a partire dalla chiusura del nucleare. L’attenzione agli equilibri internazionali: la solidarietà incondizionata a Israele, il contatto costante con Mosca, il ruolo in Europa, con la Francia in liquidazione politica da troppe presidenze, il viaggio annuale in Cina.
La solidarietà con Israele, che Höhler critica, fu un atto eroico della grigia cancelliera: andare alla Knesseth, dove molti lasciarono la sala al suo ingresso, per i sessant’anni di Israele, cioè di uno Stato che  fino a pochi anni prima rilasciava passaporti con l’esplicita menzione: “Valido per tutti i paesi eccetto la Germania”. Che ricorda (freddamente? semplicemente?): “Ci sono voluti quarant’anni  prima che la Germania nel suo insieme riconoscesse e abbracciasse insieme la sua responsabilità storica e lo stato di Israele” (la Germania Est non riconosceva Israele). E non parla di “ragione di Stato”, come Höhler le rimprovera, ma di “ragione d’essere”. In questa formulazione, dopo aver richiamato la necessità di due Stati in Palestina: “Qui soprattutto voglio esplicitamente sottolineare che ogni governo tedesco e ogni cancelliere tedesco prima di me si è assunto una responsabilità storica speciale per la sicurezza di Israele. Questa responsabilità storica è parte della raison d’être del mio paese”..
La formazione tedesco-orientale è risolutiva soprattutto nel governo del partito.  È il miglior contributo che Höhler dà al lettore, al paragrafo “La nascita del sistema M.”, ed è quello che spiega il “fenomeno Merkel”: la conquista del potere attraverso la rimodellazione della Cdu, le persone, le politiche e la comunicazione. Non annunciando, né promettendo o minacciando, ma facendo – l’opposto, si potrebbe dire, del “sistema R.”, o Renzi: “È una filosofia totalmente priva di pathos, quella che Merkel ha sviluppato nel suo bozzolo orientale”.
Lo storico potrebbe dire, con buone ragioni, che Angela Merkel si è bene posta al Centro, lo spazio politico dominante nel dopo-Muro. Forse ci era portata, nella sua apparente spassionatezza, e si è trovata al posto giusto al momento giusto. A capo di un partito che aveva concluso con Kohl un ciclo storico, quello del containment vittorioso, del muro contro il Muro, e non aveva leadership né politica di ricambio. Angela Merkel, politica per caso, ha interpretato i nuovi umori per la sua estraneità al ciclo che si è chiuso, e per una caratteriale propensione all’accomodamento senza pregiudiziali. Non ideologiche, e nemmeno politiche. La Germania riunificata voleva vivere in pace con se stessa, senza “estremismi” (scelte definite) come ama dire, cioè senza politica. Che subliminalmente intendeva un’estensione del senza colpa. E la Cancelliera venuta dal nulla era la persona giusta per reggere questo intervallo. Conservatrice, progressista? Europeista, nazionalista? Equilibrata, cinica? Queste dicotomie non hanno senso per la Germania, e quindi non sono un problema per lei. “E…e”, “Sia… sia”, può non essere nel suo caso un’opportunistica indifferenza, ma la politica più consona alla Germania del dopo-Muro e della coeva globalizzazione, della ristrutturazione feroce, la delocalizzazione, la libertificazione del lavoro – il diplomato a un euro l’ora.

Questa come tutte le altre riflessioni sull’era Merkel non tengono conto che la sua è un’altra Germania. Un’altra da quella stessa di Kohl, che pure promosse e per un decennio gestì la riunificazione, ma era di altre radici, geografiche e storiche. La Germania riunificata è tutt’altro animale politico. Sta a Berlino e non sul Reno. Era un paese più intraprendente ma non più grande degli altri paesi maggiori d’Europa, Francia, Gran Bretagna: c’era un equilibrio. E non ha più i russi a Berlino. Era un paese a metà cattolico e della cultura del vino. Ora la cattolicità - se non il vino, che è trendy e a premio – è una minoranza e una nuisance. Ancora ci si meraviglia dell’estraneità della Germania al “suo” papa, Benedetto XVI. Avendo scritto un libro per dire questa diversità, ed avendone ricevuto sdegnati silenzi e inimicizie, questo è il suggello che il mutamento è radicale: non si argomenta più.      
Gertrud Höhler, Sistema Merkel, Castelvecchi, pp. 287 € 15

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