Sandra Savaglio, astrofisica, copertina di
“Time” dieci anni fa sul tema “Come l’Europa ha perso le sue stelle
scientifiche”, torna in Italia, professore di Astofisica a Cosenza. Di lei
tutto si è raccontato e nuovamente si racconta. Dove è stata. Con chi vive – ha
una compagna. Cosa mangia. Ma non che è calabrese. E che ha studiato e si è
addottorata in Calabria, a Cosenza, prima di lavorare alla John Hopkins e al Max-Planck-Institut.
Non per cattiveria, chissà: non collima con al donna del Sud.
Ci fu un’alluvione analogo nel Gargano quarant’anni
fa, 1974, nello steso mese di settembre, forse lo stesso giorno. L’alluvione imperversò a
Péschici, imponendo un trasbordo
a piedi a mezzanotte sotto l’acqua battente essendosi le limousine impantanate nel guado. Fradici
e tremanti, con infinite cautele, dopo qualche ora fu possibile riprendere la
strada. Ma al centro vacanze Pugnochiuso
del Gargano, di cui eravamo
ospiti, il cameriere rifiutò il caffè, perché la colazione cominciava alle
otto.
Non è “la Calabria” che si oppone ai Bronzi all’Expo,
è la Sovrintendenza alle Belle Arti. Ma, gira e rigira, il “Corriere della sera”
ne fa colpa alla Calabria, con Sergio Romano mercoledì 3: i Bronzi non sono
calabresi, sono nazionali, i Bronzi hanno già viaggiato, in Calabria sono stati
soltanto trovati… È il modo d’essere di Milano, l’arroganza – è l’arroganza che
fa la ricchezza?
Aspromonte
“Anime nere”, il film di Munzi che Nanni
Moretti proietterà in anteprima nel suo cinema romano martedì, si fa precedere
da questa sinossi – la mettiamo in italiano: “Se nasci in Aspromonte il tuo
destino è segnato. Molti giovani cercano di intraprendere un cammino
alternativo e vanno a vivere altrove. Sono però costretti a tornare al luogo d’origine
dove le dinamiche sono criminali e l’insegnamento tramandato dalla famiglia,
che loro stessi hanno assorbito, è spesso crudele e duro da accettare. Ad una
situazione già difficile si aggiungono una realtà familiare fatta di affetti e
contraddizioni e un paesaggio straordinario. Una storia incentrata sul male che
definisce i rapporti tra gli uomini”.
È una storia, tra l’altro di Criaco, uno scrittore di Africo, e quindi ha il
suo sviluppo. Ne uscirà ancora un Aspromonte dark? È probabile. La montagna forse più
solare. Anche se la gente vi è indubbiamente dark, cupamente rinchiusa in se stessa più che espansiva, volitiva.
Si può immaginare che la natura conformi l’uomo o prenda il sopravvento su di
esso, non solo per distruggere ma per ispirare e governare? Immaginare sì, si
può. Ma l’uomo è tetragono, non malleabile come si pensa – adattabile ma non influenzabile.
Non per il meglio.
Ma, essendo nato e cresciuto “in Aspromonte”, non vedo come si possa essere “segnati”. Personalmente non ne ho motivo. Sono, è vero, tra quelli che “cercano d’intraprendere un cammino alternativo e vanno a vivere altrove”. Ma non potevo fare “in Aspromonte” quello che volevo fare – succede: c’è gente che non riesce a farlo a Roma, per dire la città più grande, o a Milano, la più ricca, e si deve spostare. E quelli che sono rimasti non li trovo “segnati”.
Ma, essendo nato e cresciuto “in Aspromonte”, non vedo come si possa essere “segnati”. Personalmente non ne ho motivo. Sono, è vero, tra quelli che “cercano d’intraprendere un cammino alternativo e vanno a vivere altrove”. Ma non potevo fare “in Aspromonte” quello che volevo fare – succede: c’è gente che non riesce a farlo a Roma, per dire la città più grande, o a Milano, la più ricca, e si deve spostare. E quelli che sono rimasti non li trovo “segnati”.
Da cosa dovrebbero esserlo? Dalla natura evidentemente no. Dalla povertà? Non
più. Dalla mafia? Nell’Aspromonte non ce n’è più che altrove, e anzi meno, essendo
la zona montuosa e meno ricca. Dai rapimenti di persona? Il mio paese ha avuto
per alcuni anni, all’inizio del fenomeno, a partire da quello di Ercole Versace nel 1963, il record dei rapimenti di persona, sette
o otto. Locali, e quindi per decine di milioni e non per centinaia, ma più redditizi, perché il riscatto non andava diviio, o diviso poco. Poi uno dei due rapitori “professionali” s’è infermato, un altro è
morto, e il fenomeno è finito – trasmigrato probabilmente, essendo tutto lucro e niente rischio, da loro conoscenti sull’altro
versante dell’Aspromonte, a Platì-San Luca.
Una cosa che nasce e muore così non ha nulla di
etnico o razziale, o segnato: è un fatto di ordine pubblico. Nella fattispecie,
i Carabinieri non intervenivano per due motivi: che era un reato minore,
patrimoniale (i Carabinieri non proteggevano allora la proprietà privata), e
che ai rapiti veniva chiesto un riscatto equivalente alle somme che avevano
percepito d’integrazione comunitaria alla produzione di olio - Ercole Versace no, ereditava dal padre.
Si
commettono delitti anche nell’Aspromonte, più spesso inspiegabili. Ma questo
succede in tutte le zone di montagna, per l’angustia delle valli, che con l’isolamento
inducono ai fantasmi – Jean Giono, nel suo “Viaggio in Italia”, li trovava “normali”
nelle Alpi. O per “l’aria dell’Engadina” di Montale (“Ventidue prose elvetiche”, p. 74): per
l’aria “secca, elettrica, eccitante, sottile, che favorisce la pazzia” .
Il fatto in sé è poco significativo. Una
tramina non è un film. E l’Aspromonte non ha buona fama. La protagonista del
film Bobulova candidamente ha raccontato dei suoi giorni a Africo per un paio
di scene: “Quando volevo andare a prendere un caffè al bar, la produzione mi
diceva di non andare da sola. Ma ogni tanto scappavo, e non è mai successo
niente”. Dice anche che la polizia aveva sconsigliato il regista di girare in
quei luoghi, e questo già cambia le cose – tanti film sono stati girati in
Aspromonte, per dire, “e non è mai successo niente”, da Germi a Terence Hill e
Lucio Dalla. Ma perché pretendere che “una storia incentrata sul male che
definisce i rapporti tra gli uomini” segni
l’Aspromonte?
Si può viaggiare “in Aspromonte” anche con la
morte nel cuore, perché no. Ma per la sporcizia, perché i sindaci non fanno pulire
le aree di pic-nic che si sono affrettati ad attrezzare. O, peggio, perché la
Forestale non sa tenere i boschi. Che sono ancora verdi e verdissimi, l’Aspromonte
è verde fino al cocuzzolo, ma dentro bacati: fitti e marci, senza luce, senza
aree di rispetto, preda designata del primo fiammifero incauto.
Sono una decina d’anni che in Aspromonte non si producono incendi, ma è un miracolo. Uno dei tanti che non si sanno e non si dicono.
Io ho sempre marciato libero nell’Aspromonte,
da quando avevo tredici anni e quindi in età remota. Con gli amici o anche con
gruppi di estranei. Non solo in libertà, ma con piacere, poiché è una montagna
gradevole, senza difficoltà, piena di scorci, tra i mari, sui quali sempre si
apre, di sorgenti, di torrenti e cascate, di vestigia greche, bruzie, romane,
bizantine, di bizzarre geologie. Di funghi naturalmente, specialmente
pregiati dall’industria conserviera svizzera, e più giù di castagni, meleti,
uliveti.
La libertà oggi si apprezza
soprattutto rispetto all’affollamento: la cattiva fama può non essere nociva,
non al turista o visitatore occasionale. Al residente magari no, ma a un
artista o scrittore, anche a un semplice passeggiatore, non si può chiedere di fare politiche di sviluppo. Si
possono ancora praticare i sentieri in libertà, ascoltare le voci della
montagna, sentire il vento. A ogni
passo, ogni valico, ogni anfratto, ogni rivo una sorpresa. Sulla tela di
fondo del silenzio, non muto, la solitudine, la purezza dell’aria, la montagna
dà questo privilegio, quando non è antropizzata.
Camus ha “la fortuna di essere nato povero in
mezzo alla bellezza”, lui che visse triste i successi di Parigi, politici,
filosofici, letterari, nell’animo sempre i giorni luminosi dell’infanzia ad
Algeri, dove pure era figlio rifiutato. Povero, cioè indifeso, per distrazione,
per consuetudine. Gli “elementi” possono dare splendore e gloria anche agli
inermi e ai distratti: il sole, la luce, l’acqua, del torrente Petrilli alla
pietra Grande, della sorgente, delle trote a punta gialla, delle trasparenze,
delle iridescenze, della rugiada per esempio la mattina al primo albore. Si
vive a propria insaputa. Si è vissuti
dagli eventi, dagli ambienti.
L’asse
Può darsi che lady Alison Deighton,
immobiliarista britannica ecocompatibile, consorte di lord Deighton, l’uomo
dell’Olimpiade di Londra, ex Goldman Sachs, sottosegretario al Tesoro, non dica
la verità. Ma poiché il “Corriere della sera” le dà una pagina, non può
mentire: ha comprato dei terreni a Nardò, li ha risanati, ha progettato un resort
di lusso, tra l’entusiasmo del sindacò e la gratitudine della popolazione, ma
la cosa non si può fare, la Regione nega l’approvazione. Senza un motivo.
Destinazione d’uso? Impatto ambientale? Tutto a posto, ma…
È un caso di ordinaria corruzione: la signora
non ha unto le persone giuste. Lo sanno tutti. Non è nemmeno vero che
l’amministrazione di Nardò è d’accordo. Non più da quando, nel 2011, è sindaco l’avvocato
Righi, espresso dal’asse Sel-Udc – Vendola-Casini per intenderci. Righi che era
vicesindaco di Antonella Bruno, con la quale Alison Deighton aveva avviato il
progetto. Poi alle elezioni si è smarcato in proprio, come Udc, e s’è messo con
Vendola. Al secondo turno ha avuto i voti obbligati del Pd e ha vinto. Dopodiché
il no.
Non il no, il ni Udc. La signora Deighton ha traccheggiato,
poi s’è rivolta in Regione. Che ha preso a dire no senza motivo. La signora è
stata mal consigliata o non sapeva che in Italia i patti si osservano, e
Vendola, l’estrema sinistra in Regione, ha patteggiato con Casini. La prova? Ultimamente
lady Deighton ha chiesto udienza a “un responsabile regionale molto in alto”:
mezz’ora per non dire niente. È la prova del nove: il dirigente è parte del “ni”,
oppure non lo è ma sa chi ne è parte e tace.
Questo la signora non lo dice – non può. Ma
tutti lo sanno. Tutti, apparentemente, eccetto il “Corriere della sera”. Che ne
incolpa l’“Italia”, il “Sud”, la cattiva
burocrazia.
L’omertà
in Germania
I
pestaggi nazi, un tempo delle “zecche” ora degli immigrati, avvengono per la
strada in Germania senza che nessuno mai intervenga. Lo nota in alcuni dei suoi
racconti Carmine Abate, sicuro germanofilo.
L’omertà
vige in Germania come in Italia, non solo al Sud, solo che non ha nome. Fa
parte della più generale superiorità, per cui i difetti sono degli altri. Un
tedesco può dire che l’italiano è spaghettaro, mandolinaro, mafioso, perché è
la realtà. Un italiano non può dire i tedeschi ubriaconi e violenti, anche se è
la realtà. L’omertà vi si intreccia infatti con una propensione alla denuncia
anonima ineguagliata.
In
“Gentile Germania”,
volendo tracciare al Nord
qualcuno dei tanti vizi che si imputano congeniti al Sud, abbiamo incontrato pure l’omertà,
giuridica, storica:
“Nei pochi
processi istruiti non ci furono testimoni delle stragi in guerra, sono reticenti pure gli storici,
sospetti di lesa patria.
“L’omertà è
categoria non definita, è sociologia di caserma, dei carabinieri, ma di essa è parte certa la negazione, pure
dell’evidenza. Speer ha
scritto mille pagine sugli
anni con Hitler senza vedere né sentire nulla. Oltre che da Hitler e Goebbels,
che incontrò a pranzo e a cena tutti i giorni per dodici anni, Speer non seppe
nulla dal suo miglior amico, il dottore generale Karl Brandt, che finì settantamila
persone per pietà, e molte infettò a fini scientifici”, etc.
leuzzi@antiit.eu
Nessun commento:
Posta un commento