Il padre di Francesco M. Cataluccio
immaginava la sicilianità sullo sfondo della morte, ricorda il figlio in un
omaggio a Sciascia che “Il Sole 24 Ore” ha anticipato domenica 21. “E pensava
che Verga, e i più grandi scrittori italiani del Novecento (Pirandello, Tomasi
di Lampedusa, Sciascia, Consolo, D’Arrigo e Bufalino), proprio perché
siciliani, l’avessero capita e rappresentata meglio di altri e non ebbe tempo
di apprezzare l’amaro Camilleri)”. È un refuso o un lapsus di Cataluccio, ma è
vero – Cataluccio trascura peraltro Vittorini, Brancati, Pizzuto. Fuori della
Sicilia si rileggono Gadda, Calvino, Pasolini – poco. Che i siciliani non siano
anche i più grandi lettori?
“Cronache del
Garantista-Calabria” fa una pagina sulle intercettazioni pere segnalare che la
regione ha perduto il primato. “Nel 2009 era il distretto dove si spendeva di
più, con oltre 42 milioni di euro, superata solo dalla Sicilia, con 47
milioni”, nel 2011, ultimo dato disponibile, è scesa a 39. No, era primissima
per spesa pro capite, in rapporto alla popolazione – due milioni i calabresi,
almeno cinque i siciliani. Effetto della pericolosità o dell’autocritica?
Ma il fatto non è questo. È che nella stessa pagina lo stesso
giornale registra cinque casi di errata o fraudolenta trascrizione delle
intercettazioni in Calabria, con la rovina di cinque persone: i sindaci Carolina
Girasole (arrestata) e Giovanni Piccolo (arrestato, la giudice Beatrice Ronchi,
la signora Valeria Falcomatà, moglie di Demetrio Naccari Carlizzi, esponente di
primo piano del Pd nella regione e figlia dell’ex sindaco di Reggio, e il frate
Fedele Bisceglia (arrestatissimo – lunga e contorta vicenda, questa). Non è
difficile trascrivere le intercettazioni – nei casi dubbi si lascia il dubbio.
È che le intercettazioni sono un’arma, talvolta a fini di giustizia.
Boemondo – crociato contro
Costantinopoli
Un normanno di Calabria, per
questo doppiamente nocivo? Il tipo dell’anarchico di potere. Primogenito del
Guiscardo, nipote di Ruggero il Gran Conte di Sicilia, zio di Tancredi
d’Altavilla, il figlio di Oddone Marchisio del Monferrato e di Emma d’Altavilla,
la sorella del Guiscardo, i migliori dell’epoca, fu il vero capocrociato alla
Gassmann, un pasticcione colossale. Nato, forse, a San Marco Argentano, forse
nel 1058, fu di sicuro il figlio di Roberto il Guiscardo, duca di Puglia e di
Calabria, e della prima moglie, poi ripudiata, Alberada di Buonalbergo. Fu
battezzato Marco, e soprannominato Boemondo, dal Behemot biblico. Il cronista Romualdo Guarna scrisse di lui
che “egli sempre cercava l'impossibile». Ma nelle forme più astruse.
Destinato improvvidamente da Roberto il Guiscardo, in
qualità di primogenito, al trono di Costantinopoli, pretese di allargare le guerre
balcaniche fino al cuore dell’impero. Da qui l’idea delle Crociate. Che però
maturò successivamente, dopo la morte del Guiscardo nel 1085. La vedova del
Guiscardo, Sichelgaita, privilegiò il suo proprio figlio Ruggero Borsa. Per un
po’ Boemondo collaborò col fratellastro e con lo zio Ruggero I, il Gran Conte
di Sicilia. Nel 1096 si mise assieme alla bande di avventurieri che promuovevano
la Corciata, col nipote ventiquattrenne Tancredi, sicuro di farsi ricco e
potente in Terrasanta.
Fu fatto prigioniero e si fece tre anni in ostaggio.
Riscattato da un nobile armeno, fu sconfitto
di nuovo, e poi ancora di nuovo. Tornò in Europa per cercare rinforzi, e
a Roma gli riuscì di convincere il papa, il monaco forlivese Pasquale II, della perfidia Graecorum, cioè di fare la guerra santa non ai
mussulmani ma all’imperatore di Bisanzio Alessio Comneno. Puntava
anche a un matrimonio importante, e convinse Pasquale II a mandarlo in Francia
a perorare la “guerra santa” contro i fratelli separati ortodossi, accompagnato
dal legato pontificio Bruno di Segni. Affascinò il re di Francia,
Filippo I, e ottenne la mano di sua figlia Costanza, benché la principessa
fosse già fidanzata a Ugo, conte di Troyes. Celebrando solenne matrimonio a
Chartres, siamo nel 1106. Secondo Sugerio di
Saint-Denis era questo il
solo oggetto della sua missione in Francia: ”Boemondo venne in Francia per
ottenere con ogni mezzo a sua disposizione la mano di Costanza, giovane dama di
eccellente educazione, d’aspetto elegante e di splendido viso”.
Poi partì all’attacco si Alessio Comneno, le prese di
nuovo, tornò in Europa a cercare aiuto, e finì oscuramente in Puglia – il luogo
e la data di morte sono l’unica sua cosa certa, Canosa di Puuglia, 7 marzo 1111
– quasi certa.
Dovette il successo, malgrado le
sconfitte e le intemperanze, alla figura fisica. Anna Comnena, la figlia dell’imperatore
Alessio, ne ha lascato un ritratto nella “Alessiade”. Un ritratto non
ricorrente, per nessun altro “crociato”, nella stessa storia – Anna aveva quattordici
anni quando ebbe l’occasione di incontrare Boemondo:
“Era uno, per
dirla in breve, di cui non s'era visto prima uguale nella terra dei Romani,
fosse
barbaro o Greco (perché egli,
agli occhi dello spettatore, era una meraviglia, e la sua reputazione era
terrorizzante). Lasciate che io descriva l'aspetto del barbaro più
accuratamente: egli era tanto alto di statura che sopravanzava il più alto di
quasi un cubito, sottile di vita e di fianchi, con spalle ampie, torace
possente e braccia poderose. Nel complesso il fisico non era né troppo magro né
troppo sovrappeso, ma perfettamente proporzionato e, si potrebbe dire,
costruito conformemente ai canoni di Policleto... La sua pelle in tutto il
corpo era bianchissima, e in volto il bianco era temperato dal rosso. I suoi
capelli erano biondastri, ma egli non li teneva sciolti fino alla vita come
quelli di altri barbari, visto che l'uomo non era smodatamente vanitoso per la
sua capigliatura e la tagliava corta all'altezza delle orecchie. Che la sua
barba fosse rossiccia, o d’un altro colore che non saprei descrivere, il rasoio
vi era passato con grande accuratezza, sì da lasciare il volto più levigato del
gesso... I suoi occhi azzurri indicavano spirito elevato e dignità; e il suo
naso e le narici ispiravano liberamente; il suo torace corrispondeva alle sue
narici e queste narici... all'ampiezza del suo torace. Poiché attraverso le sue
narici la natura aveva dato libero passaggio all’elevato spirito che gli
traboccava dal cuore. Un indiscutibile fascino emanava da quest’uomo ma esso
era parzialmente contrassegnato da un’aria di terribilità... Era così fatto di
intelligenza e corporeità che coraggio e passione innalzavano le loro creste
nel suo intimo ed entrambi lo rendevano incline alla guerra. Il suo ingegno era
multiforme, scaltro e capace di trovare una via di fuga in ogni emergenza.
Nella conversazione era ben informato e le risposte che dava erano fortemente
inconfutabili. Quest’uomo del tutto simile all'Imperatore per valore e
carattere, era inferiore a lui solo per fortuna, eloquenza e per qualche altro
dono di natura”.
Resta da accertare se “un’aria di terribilità” non sia “un olezzo
terribile”, il greco di Anna Comnena si può tradurre in entrambi i modi.
leuzzi@antiit.eu
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