La rubrica delle lettere di Paolo
Conti sul “Corriere della sera-Roma” registra ogni giorno un caso di truffa di
una pulic utility a danno degli
utenti. Ai quali incorre non solo l’obbligo di pagare la bolletta, ma di scovarne
i trucchi e gli errori, contestarli per raccomandata e interminabili telefonate,
avere rassicurazioni, e non ottenere, dopo anni di queste pratiche,
riconoscimenti, meno che mai risarcimenti. L’Acea si distingue, ma le società
dei telefoni no sono da meno.
Contro gli abusi della public utilities, e a protezione degli
utenti, sono state costituite costosissime Autorità di controllo. Che però
interpretano il loro compito nel senso di non intervenire. La fatturazione da
parte di Acea, con cadenza bimestrale, di migliaia di euro per forniture di gas
mai avvenute, sulla base di un contratto estinto da anni, induce dopo
insistenze l’Autorità per l’energia a una risposta del genere: “Non possiamo
intervenire finché l’Acea non ha risolto la questione”. Una lettera lunga due
pagine a spazio uno, il lavoro di almeno una giornata di un addetto. Tutto
meglio che lavorare.
Gli abusi nelle fatturazioni sono
dovuti alla pratica di affidare in service
esterno le relative operazioni. A operatori inesperti o truffaldini. Sul
presupposto di un risparmio per l’azienda. E invece no: per compartire
l’appalto, con i dirigenti aziendali committenti.
L’Italia è il sesto paese dal fisco
più esoso, il 44 per cento del pil, tra i 28 della Ue. Ma, dei primi cinque, i
tre scandinavi stanno rapidamente riducendo il prelievo.
L’Italia è serpe al sesto posto,
nella statistica comparata Eurostat, “Taxation trends in the European Union”,
per la fiscalità indiretta, ma al terzultimo, 26ma, per l’Iva. L’evasione è
dell’Iva: è semplice e nota, ed è il cuore dell’evasione fiscale, ma si fa
finta di no.
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