Leonardo Ceppa concludeva la
raccolta di saggi di Habermas da lui curata, “Nella spirale tecnocratica”, con
questa spiegazione: Habermas intende che “il processo dell’unificazione europea
rappresenti, nella storia della teoria democratica, un nuovo modello di
progetto costituzionale. La sua caratteristica è di non sfociare più in uno
Stato centrale unitario (come la Rivoluzione francese), né in uno Stato
federale (come la federazione Usa dei «Federalist Papers», bensì in una forma transnazionale, eterarchica e post-statale
di democrazia”.
È il progetto politico
dell’Assemblea di Francoforte,1848. Prima dell’unificazione bismarckiana. Delle
mille e più signorie locali che componevano il mosaico tedesco nel Settecento. Dopo
lo Stato come prima dello Stato?
Un numero che si ristampa, dopo la
prima uscita alla vigilia delle elezioni a maggio, per i tanti contributi
eccellenti. Ma questo di Habermas, “Per una democrazia transnazionale”, è
l’unico interessante. Il punto di domanda s’intende pleonastico, ma in senso
negativo. Paolo Flores d’Arcais prospetta obbligata l’uscita dal liberismo
imperante. Beck auspica un “nuovo cosmopolitismo”. Markaris, che si voleva
mediatore culturale, tra Mediterraneo e teutonicità, e anche qui mette avanti
un’educazione tra Turchia e Austria, e una tarda grecità, a metà degli anni
1960, quando andava per i trenta, si limita l’Europa “senza anima” – senza
colpa di nessuno?
“Micromega”, Stati Uniti d’Europa?, 3\2014, pp. 198 € 15
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