La sua
“rivoluzione archeologica” il super-sovrintendente La Regina intende a Roma
come la pedonalizzazione del centro-città, per lasciarlo ai turisti. Una città
di cento-duecentomila persone? Il doppio nei giorni lavorati? Da non credere:
ma dove li prendono?
Uno –
giusto per stare alla specializzazione nel neo-solone - che non è stato al Foro
Romano trent’anni fa, o a Pompei, e non vede la differenza col cafarnao di
oggi, e la desolazione? Come si può pensare di chiudere una città a beneficio
di bancarelle, magliette, ricordini e panini?
Dice: ma
i turisti portano soldi. Ma che discorso è, da un sovrintendentente, da un sindaco? Sono soldi buoni, il costo non si
calcola, di distruggere una città per il calpestio di turisti distratti, che
fotografano nemmeno loro sanno che cosa? E per quanto tempo li porteranno?
Prima o poi potranno fotografare le copie nei Disneyworld, al fresco e al
pulito.
Ma,
comunque, per questo distruggere una città? L’isola pedonale fu inventata dal
centro-sinistra a Roma nel 1965, ma limitatamente a Piazza Navona. Senza le
bugie ambientali con cui il grande-piccolo business dei centri pedonali si
copre: i centri storici chiusi danno un contributo prossimo allo zero all’antinquinamento. Ipoteticamente,
perché non ci sono città chiuse, come avverrebbe a Roma.
Zone pedonali
sono state fino ad ora una o due piazze e poche strade adiacenti. È una ricetta
nordica, di farsi la “piazza”, un luogo dove passeggiare che altrimenti non
avrebbero, e non si discute. Roma, che vive in piazza, ha finora resistito con
coraggio anche alle isole pedonali. Da città viva, plurivocazionale: religiosa,
storica, artistica, politica, amministrativa, universitaria, commerciale,
industriale, artigianale, tecnologica. Possono distruggerla due barbari, La Regina
napoletano, Marino siculo-americano?
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