Cronache
vivaci – non pregiudicate. Di cui la Calabria eccezionalmente difetta, sommersa
com’è, non da ora, dalla cronaca nera. Non indulgenti, ma argute e serie,
spiritose e pignole, “normali”. Cronache di tutto ciò che balzava all’occhio e
all’orecchio del “giornalista”, rapido e sapido. “I Napoletani fanno il pane a
guisa di fessa: ricordo dei Sigilinei
cunni che i pagani offerivano a Cerere. Noi facciamo le minne di vacca”. Con notizie agricole, minerarie, artigianali. Con un occhio
speciale alle donne – “Oriolo. Donne bellissime, ma tutte puttane, “Nocara.
Tutte prostitute. Le donne sono bellissime, e ballano bene, massime la
tarantella”, “Altomonte. Puttane famose”. Ma anche alle minoranze: i valdesi, gli
albanesi, gli ebrei – con la tranquilla coscienza che “siamo semitici”. Aneddoticamente coltissimo. “Il
popolo dice: «Sugnu ri Mancuni», sono
dei Manconi. Mangones erano
negozianti di schiavi, specie di fanciulli e ragazze. Galeno dice («De math.
medendi», XIV, 11) che soleano, un giorno sì e l’altro no, batter loro con
sferze cosce e natiche, perché gonfiandosi apparissero più grassi”. Si trova la
“zita” in più luoghi, il salto della Zita, la timpa della Zita, la Zita impetrata: “In tutti questi luoghi vi
sono olivi. Zaith ebreo vale «olivo»”
Dopo
“Il Bruzio”, 1864-1865, nei dieci anni successivi alla pubblicazione e
redazione a Cosenza del giornale, il prete, predicatore, drammaturgo sacro, poeta
erotico, professore di liceo e
giornalista Padula raccolse una serie di notizie enciclopediche sulla sua “provincia”,
che sarebbe Cosenza ma è poi la Calabria. Questa corposa antologia collazionata
sugli inediti da Attilio Marinari resiste dopo trent’anni forse per andare controcorrente.
Dando cioè “notizie” fuori dal cliché. Ma anche per le sorprese.
Il
“culo di Gnesa”, per restare al genere bernesco, è una lezione in breve di filologia.
È detto di una sorgente nella quale una serva di nome Agnese, mandata a
riempire l’orcio, un giorno che non c’era nessuno si alzò la gonnella per
specchiarsi: “Questa favola si narra anche adesso, mostra che gli avi miei non
erano indegni di discendere dai Greci, ed apprende che tutte le favole antiche
e nuove, cominciando da quella di Venere e finendo al «culo di Gnesa», nacquero
dall’ignoranza della lingua e da sbagliate etimologie. Il «culo di Gnesa» è il
greco κοίλη αγνή, la «vasca pura», la «vasca pulita», quella dove attingeasi l’acqua
pei sacrifici”. Un’anticipazione dell’ignoranza che via via ha avvolto la
Calabria e il Sud.
Vincenzo
Padula, Calabria prima e dopo l’unità
Nessun commento:
Posta un commento