Fu un delitto dell’ipocondria,
forse, Gesualdo era ombroso. O forse non un delitto, un dovere coniugale, per
l’onore della famiglia, contro due amanti a tradimento nel letto coniugale. Un
affare di principi e duchi, del resto, e quindi exlege: la ventiquattrenne Maria
d’Avalos, la più bella del reame, sposa già in terze nozze del principe madrigalista,
scopre infine la passione a ventiquattro anni con l’avventuroso Fabrizio Carafa d’Andria. De
Simone, amando molto il suo “”Principe dei gigli” pio musico, ancora non se ne
capacita e ci costruisce sopra una cavalcata imbizzarrita, scalpitante. Una
commedia musicale, seppure col latinorum e senza balletti. A volte purtroppo
politicamente corretta, con l’antigesuitismo, il bisessualismo, i
rovesciamenti, un tempo agudezas, il gossip, e perfino lo Stato-mafia (il
complotto) – il caso, del resto, è di femminicidio. Ma disinibita e strafottente,
come vuole essere la storia a Napoli. Nella confusione desimoniana dei
registri, popolani e barocchi, dei sentimenti, delle virtù, che più spesso sono
blasfeme, o rancide. Per ossimori costanti, com’è suo uso, che qui De Simone
sottolinea anche verbalmente. Anche la religiosità vi è blasfema. Un’operazione
costante, ad ogni scena, di ricostruzione-decostruzione. Con l’effetto, infine,
di trascolorare il trucidume in elegia – ogni scena si costruisce su un
madrigale.
“Confuse e caotiche pagine”, una stravaganza?
Un capolavoro, forse, in musica. Per il lettore un “travestimento”, come dice
il sottotitolo. Accentuato dall’appendice stravagante di Mariano Bauduin sull’indagine
impossibile: Gesualdo era uno che “quella «sesta napoletana» che caratterizzerà
tutta la produzione del Settecento napoletano, influenzando Mozart e Beethoven,
… (gli) sembrava già rétro”. Affidata
a Don Ciccio, che Gadda fece molisano non potendolo fare (paura dei fulmini
vesuviani) napoletano, un commissario a cavallo di quattro secoli e due capitali,
la Napoli di Gesualdo e la Londra di Jack lo Squartatore. Con “Alice”, lo
psittacismo, o arte del’imitazione, John Dee col Libro Nero, e il Vecchio della
Montagna.
Bauduin-De Simone sembra voler
celebrare “l’arte della contraffazione”, la ricerca della verità nel falso,
come la pepita nell’ammasso: “Il mondo delle cosiddette verità non è che un
contesto di favole: di brutti sogni”. Per una verità tuttavia evidente: che
“l’assassino, il «mostro», è l’immagine centrale dei nostri sogni, dei nostri
incubi e, perché no, delle nostre certezze: uccidiamo qualcuno, qualcuno ci
uccide”. “Centrale” forse no, ma per il resto sì: femminicidi siamo noi, maschi
del Millennio (ma non bisognerebbe indagare pure il femminismo?)
De Simone ha già osato in commedia il
riferimento indicibile. Di Pasolini che anch’egli fece della (sua) morte “opera
d’arte\ relativa ai suoi versi” – come di Gesualdo il “delitto d’arte,
degradato\ a scurrile romanzo d’appendice”.
Roberto De Simone, Cinque voci per Gesualdo, Einaudi, pp. 105 € 10,50
Roberto De Simone, Cinque voci per Gesualdo, Einaudi, pp. 105 € 10,50
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