sabato 6 settembre 2014

Il mondo com'è (186)

astolfo

Famiglia - Secondo le statistiche di Dumas figlio il trenta per cento dei figli già nasceva fuori del matrimonio, un secolo e mezzo fa, quindi. Senza contare gli aborti e gli infanticidi non rilevati: Morivano anche, al tempo, quattro su cinque dei bambini dati a balia, cioè abbandonati.
Si dice del matrimonio che ruota attorno ai figli. Ma i figli, molti farebbero a meno dei genitori, i figli dei vedovi sono i più felici - il matrimonio esiste in quanto coppia, corteggiamento, attesa, amicizia.

Galileo – È probabilmente lo scienziato più “riconosciuto” in vita – prima ancora che Einstein, in termini di età. Si può dire che mai come nel suo tempo, pur difficile, Galileo fu capito e apprezzato, e da subito. Con l’eccezione dello scientismo positivista dell’Ottocento – di cui però fu più vittima che eroe.
Della sua novità, la filosofia naturale novellamente scoperta, erano cogniti, alla sua epoca, Keplero, Bacone, Hobbes. E molti letterati. Giambattista Marino ne fa materia di poesia già nel 1621, John Donne ancora prima, nel 1620.  Per Hobbes, che nel suo viaggio in Europa si fermò a Firenze per rendergli visita, “Galileo è il primo che ci ha aperto la porta dell’universo fisico, e la natura del movimento”. Specialmente interessato, “Della natura umana”, al cap. VIII, fu Hobbes agli studi di Galileo, musicologo e musicista, sugli effetti del suono.  Milton parla di Galileo nella “Aeropagitica”, 1644, avendolo incontrato, dichiara, a Firenze nel 1638, e lo ricorda in tre libri del “Paradiso perduto”. Nella “Aeropagitica” ricorda Galileo “invecchiato prigioniero dell’Inquisizione perché pensava in astronomia diversamente da quanto i censori francescani e domenicani pensavano”. Testimone delle “condizioni servili in cui il sapere era stato ridotto” in Italia, offuscando la”la gloria dell’ingegno italiano”.
Gentile, “Studi sul Rinascimento”, che pure ne sottolinea il carisma e il successo nell’instaurazione del regnum hominis, dello spirito del Rinascimento, e lo eleva a fondatore della lingua italiana, lo condanna, alla p. 246: “Nel Galileo l’animo non fu pari all’intelletto”. Lo stesso Gentile che ne sottolinea i nove anni di reclusioni, seppure ai domiciliari a Arcetri, fino alla morte.
Galileo non era uno prudente, né si nascondeva. La cautela adottò come protezione, contro i furori di Giordano Bruno, che Galileo conobbe e copiò ma non citò (Keplero glielo rimproverò all’epoca), e contro la finta pazzia di Campanella, che pure di Galilelo aveva preso pubblicamente le difese, benché agli arresti da decenni in una cantina umida, e periodicamente torturato. Erano tempi difficili per l’intelligenza in Italia. Lo studioso galileiano J. Lewis Mc Intyre lo dice “gran diplomatico”.
Papa Giovanni Paolo II non chiese perdono in realtà, a conclusione della Commissione d’indagine sul processo e la condanna presieduta dal card. Poupard. Parlò di “una tragica incomprensione reciproca”. Sembrando fare propria la tesi dell’“errore reciproco”, di Pierre Duhem, raccolta da Walter Brandmüller, secondo la quale Galileo si sbagliò nel campo scientifico ed ebbe ragione su quello teologico, mentre gli ecclesiastici si sbagliarono nel campo teologico ed ebbero ragione su quello scientifico.
È pure vero che ebbe subito opposizione vastissima. Lo sconcerto era stato forte perfino in Keplero: “L’Infinito è impensabile, l’Infinito è inconcepibile”. Ma chi ricorda più i critici che avrebbero potuto stritolarlo? Il filosofo Cesare Cremonini, che pure se ne professava amico: il cannocchiale “imbalordisce” la testa. Il poligrafo Silvestro Pietrasante: le macchie solari sono le vibrazioni delle lenti. L’emblemista Paolo Moccio: il telescopio ingrandisce come la spacconeria. L’altro emblemista Johannes de Brunes: il telescopio vede doppio come la gelosia.
Ha fatto degli errori, di calcolo e di ricerca. Soprattutto perché era un uomo appassionato, stizzoso anche. Concludendo “La rivoluzione intellettuale di Galileo”, William Shea spiega che è dalla giusta diffidenza verso la magia, cui il papa Urbano VIII Barberini e la corte vaticana indulgevano, e verso l’innovazione esoterica dei Giordano Bruno, dello stesso Keplero, dello stesso suo grande ammiratore e difensore Campanella, che nasce il più grave errore di Galileo, quello delle maree: la luna non doveva entrarci per nulla.
Nel classico “Galileo come critico delle arti” Erwin Panofsky dice che “sbaglia più di Keplero perché era più «progressista» in linea di principio”.

Giornali - “Amici, colleghi, torniamo a sentirci importanti”: usa i toni dell’arringa oggi nella sua colonna su “Io Donna” Claudio Sabelli Fioretti di fronte alla deriva dei quotidiani. Di cui mostra di conoscere il segreto – l’appello è anche una diagnosi: “I quotidiani hanno il loro linguaggio, la loro supponenza, la loro alterigia”, e dunque “facciamoli tornare virali”. Come erano appena venticinque anni fa, un’industria in piena efflorescenza: “C’è un’industria dei giornali che mai prima era apparsa così appetibile a chi cerca investimenti per i suoi capitali”, scriveva il sociologo della comunicazione Giovanni Bechelloni nella prefazione a G. Leuzzi, “«Il Mondo» non abita più qui”, favorita dalle nuove tecnologie, che hanno abbattuto i costi di produzione e promosso nuove professionalità. E ancora: “Ci sono tirature che cominciano ad essere di tutto rispetto. C’è un flusso pubblicitario importante. C’è, anche, una concorrenza che,per quanto attutita dalla contiguità dei pacchetti azionari, attiva attenzione su zone della società italiana rimaste ai margini o addirittura escluse dall’informazione”. Si vendevano allora sei milioni di copie, una per ogni cinque italiani attivi, un record in Italia, oggi non se ne vende la metà. E non per la recessione.
«Il Mondo» non abita più qui” in realtà ne ha individuato il tumore già alla pubblicazione, nel 1989: l’autoreferenzialità. L’indifferenza, e anzi l’alterigia, da primi della classe, verso l’Italia e gli italiani, e quindi verso il lettore. Il giornale-partito, per non si sa che partito. In parallelo con l’inaffidabilità: l’italiano iperpoliticizzato è quello, fra tutti gli europei, che meno si forma un’opinione attraverso i giornali, avevano appena accertato Mannheimer e Sani in una ricerca mirata, “Il mercato elettorale”.
Sabelli Fioretti ne motiva il declino, da una diecina d’anni, dapprima per il vezzo di “televisionarsi”, schiacciarsi sulla comunicazione tv, in pillole e accenni. E da qualche tempo di, si potrebbe dire, “irretirsi”. “Adesso sta succedendo di peggio. Adesso i quotidiani si internettizzano, si facebookizzano, si twittizzano”.

Guerra mediatica – Bastò Mÿ Lai, si disse, la notizia e la foto del massacro, che la censura non bloccò, per sconfiggere gli Usa in Vietnam, già nel 1968, sette anni prima della ritirata. Per autosconfiggerli: il massacro fu opera di una compagnia americana, o forse solo un plotone, al comando del sottotenente Calley. La decapitazione di Fowles e Sotloff, che non si tiene segreta e anzi si esibisce, porta questo effetto all’estremo: la guerra combattuta con le immagini.
Bin Laden terrorizzava il mondo facendosi fotografare in grotte di cartapesta.  Semplici immagini tengono in scacco - se no hanno la meglio su - arsenali atomici, flotte di cacciabombardieri sterminate, aerei invisibili e bombe intelligenti.
La guerra contemporanea è mediatica. Perfino Hollywood l’ha sanzionato, da tempo. La difesa sarà la censura?

Laicismo – Fino al trionfo definitivo della Controriforma, anche la Chiesa fu laica.
Ma la tonaca è già una forma di democrazia, poiché dichiara le intenzioni. Il settarismo camuffato è il peggiore, è la “piovra”.

astolfo@antiit.eu

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