Armonizzazione— S’intende delle
politiche fiscali. E s’intende più come minaccia: una rasatura dei privilegi.
Ma per un Pese come l’Italia, esportatore netto di capitali, di intelligenze,
di forza lavoro qualificato, sarebbe un’opportunità. Il beneficio fiscale è la
causa principale oggi della delocalizzazione. Di competenze e risorse oltre che
di capitali.
Delocalizzare
–
Si è fatto nel dopoguerra soprattutto per la paura del sovietismo. Dopo il Muro
per sfruttare la forza lavoro, in Polonia, Romania Albania, Nord Africa, Medio Oriente.
Si continua a fare per motivi fiscali.
Giornalismo
–
Sta male da tempo. Ripescando dal nostro “Mediobanca Editore” – tuttora in
edizione - si scopre che stava male già vent’anni fa, si capisce che abbia
infettato i giornali:
“Alberto
Ronchey ha constatato recentemente la fine del giornalismo come contro-potere. “E'
chiacchiericcio”, ha detto al “Foglio” di Giuliano Ferrara, che quel
giornalismo ha riproposto con successo di stima. Ancora più aspro Ronchey era
stato a metà settembre 1995, quando il bubbone Rcs cominciava a incancrenirsi,
con Claudio Altarocca della “Stampa”: giornalisti cattivi fanno cattivi
giornali.
“Si
potrebbe anche, per ipotesi, sostenere che il giornalismo è un sovrappiù.
Borges, il quale affermava “non ho mai letto un giornale”, s’è trovato
egregiamente senza - anche se ha lasciato quattro libri di interviste. Oscar
Wilde, altro scrittore dall’intelligenza aguzza, il quale disprezzava “quel
fenomeno mostruoso e ignorante chiamato pubblica opinione”, lo liquidava,
scrivendo sui giornali, senza residui. “Nel passato l’uomo disponeva della
clava, oggi dispone della stampa”, diceva l’autore di “L'importanza di essere
onesto”: “Ciò rappresenta certamente un progresso, ma è negativo, sbagliato e
avvilente”. Restando nell'esistente, si rileva a metà degli anni Novanta una
straordinaria concentrazione di critiche sui giornali e i giornalisti.
“Ne
sono scontenti tutti, per primi i giornalisti di gran nome, da Montanelli a
Enzo Biagi. Piero Ottone e Giorgio Bocca, in aggiunta alle deprecazioni
quotidiane, hanno pubblicato due libri polemici, rispettivamente “Preghiera o
bordello”, inteso della stampa, e “Penne, antenne e quarto potere”, quest’ultimo
col giornalista americano Wolfgang M.Achtner. Sono critici gli studiosi. Nel
libro pubblicato a metà 1995, “Ultime notizie sul giornalismo”, Furio Colombo
rappresenta una professione sempre più “eterodiretta”. La si direbbe tornata
alle origini, a quel mondo di “avvisatori” rinascimentali che “menavano” in
realtà l’opinione - da cui anche il nome “menanti”, mestatori - per questo o
quel potentato. Umberto Eco ha tratteggiato sull’“Espresso”, dove spesso fa materia di riflessione un giornalismo che
gli sembra sempre più lontano dall’inafferrabile notizia, un modo d’essere che è
un catalogo di vizi: notizie poche, gonfiate o inventate, e interviste a
raffica, con interlocutori di poco conto, su argomenti triviali, per divertire
e non per informare. I giornali, secondo Eco, hanno mediato i difetti della
televisione, della comunicazione via immagine, senza averne i pregi.
“Protestano
i politici, naturalmente, da Silvio Berlusconi a Massimo D'Alema e Walter
Veltroni, che sono stati entrambi direttori dell’“Unità”, a Romano Prodi. I
giornalisti sono “jene dattilografe” (D’Alema), i giornali sono “gonfiati e
frivoli” (Veltroni)), “falsi e pericolosi” D’Alema), e più o meno venduti
secondo Berlusconi. L’Italia è sempre stata “un paese un po' speciale”,
ironizza il direttore di “Repubblica” Ezio Mauro, “in cui, invece dei
giornalisti che criticano i politici, sono i politici a criticare i giornalisti”.
E si arriva alla conclusione che “il bene informazione è "dilapidato”,
come ha fatto un lettore appassionato, il giurista Vincenzo Zeno-Zencovich, nel
libello intitolato “Alcune ragioni per sopprimere la libertà di stampa”, e che
i giornalisti sono, per l’autorità di un primo ministro britannico, Stanley
Baldwin, come le puttane, “irresponsabili”. Dei giornalisti parlano male nel
1996 anche Susanna Tamaro, la scrittrice più amata, fra' Indovino, il
calendario rural-sapienziale del Centro-Italia, gli stessi editori: Ronchey,
Cesare Romiti, e di nuovo Berlusconi, nella veste di padrone del maggior gruppo
di media.
“Ma
un allarme argomentato è venuto anche da un gruppo d’intellettuali francesi di
varia formazione, cattolica, laica, libertaria, che hanno scritto a “Le Monde”
stupiti “di fronte alla concezione che oggi domina la stampa e che finirà per
chiuderla nella sfera del potere”. Il quotidiano ci ha pensato due mesi prima
di pubblicare la loro denuncia. La stampa, vi si dice, “guarda troppo ai propri
interessi”, è ossessionata “dai comportamenti di chi comanda”, si sfianca su “pettegolezzi,
frasi slegate, aneddoti”, monta titoli a effetto, si trincera dietro sondaggi e
indici di gradimento. Col risultato “di attaccare l'opinione pubblica pi— che
non di favorirne l'informazione e la riflessione””.
Invalidità
–
La pensione d’invalidità è stata per mezzo secolo nel secondo Novecento la
prova e la patente della miserie del Sud, economica e morale. In Germania era
un problema a inizio Novecento. Il filosofo Max Scheler ne tratta in un saggio
del 1913, “Die Psychologie des sogennanten Rentenhysterie”; la psicologia del sedicente
isterismo per la pensione d’invalidità.
Maternità
–
Non se la passa bene, neanch’essa. Non quella naturale, nata dal rapporto di
coppia. La coscienza ecologica è ancora per la nascita zero. Tutti semmai sono
per la maternità assistita, eterologa, artificiale: Asl, Rossi, Lorenzini,
partiti, papi. Commossi e sovvenzionatori. Ma è l’effetto meraviglia della
tecnica, che regna sul Millennio insieme con i soldi: la maternità in sé è sempre
deprecata – nessuno si commuove per la mamma venti-trentenne che alle otto deve
portare il bimbo all’asilo e contemporaneamente essere al lavoro.
Opinione
Pubblica
– L’opinione della maggioranza è risentita,
da Stendhal oltre che dalla Francia della Restaurazione, come un portato della
rivoluzione. Ma l’opinione è in realtà più spesso della minoranza – monetaria,
politica, d’affari, e quindi
intellettuale.
Paese
normale – Si dice l’Italia non in
pace con se stessa. Per un difetto intrinseco dell’italiano. Genetico? Formativo?
Storico? Perché ne ha avuto, ne ha, motivo, tanti, troppi motivi? Il fascismo. Il comunismo. La “Germania”. Le
tasse. Che sono, però, tutti fenomeni italiani. Qualcosa nella “radice” – storica,
culturale, antropologica, razziale anche, benché l’Italia sia di sangue misto -
ci dev’essere.
Televisione – Non orienta
il voto,contrariamente all’opinione corrente: tutte le ricerche demoscopiche lo
confermano. Ha sicuramente un impatto, ma d’opinione. Sull’intellettualità
cioè. Vale a questo proposito quello che D. Charles Whitney, direttore della
School of Communication della Northwestern University negli Usa, spiegava a
Jean Daniel, il direttore del “Nouvel Observateur”, in un’intervista vent’anni
fa: “Ciò che mi colpisce è che la televisione ha molta più influenza sulle élites che sulle masse. È su quelle che
può avere un effetto deleterio”.
astolfo@antiit.eu
RispondiEliminaAvete saputo dell'arrivo di Agon Channel? Ci sarà Alessio Vinci direttore della parte news, Giancarlo Padovan per il calcio e stanno facendo casting per tantissimi nuovi programmi: http://www.agonchannel.it/programmi