La “prudenza del serpente” gli era
stata raccomandata a Napoli per la Calabria. “D’altronde, si sa”, ribadisce il
suo virgilio in quell’oltremondo, il capitano Arena, “sono tutti streghe e
stregoni in Calabria”. Anche “fannulloni”, solo “buoni a bere, mangiare e ballare”.
Anche col terremoto – che è un “gran divertimento” per Jadin, il pittore suo
compagno di viaggio. “Una società equivoca”, si dice lo stesso Dumas. Le stesse
guide sono pericolose – avide, incerte, inaffidabili. E tuttavia, si argomenta, “per
quanto calabresi, sono uomini.”
Anche al tempo di Dumas la Calabria
non aveva buona fama, quasi come in “Anime nere”. Senza pregiudizio - “Mastro
Adamo, il Calabrese”, dello stesso Dumas, è una novelletta di fine, ancorché manierata,
antropologia. Ma allora insipido – come questo viaggio. Non uno di piacere,
nemmeno per il lettore. A parte poche figure: il barone Mollo a Cosenza, Marat
a Pizzo, il terremoto del 1783. Ma il racconto del terremoto è la “relazione”
di Gourbillon, non un inviato né un diplomatico, ma un poligrafo,
rivoluzionario, autore di una “Epistola ai giornalisti”, 1806, per vituperarne
il cesarismo, la sudditanza a Napoleone, traduttore e annotatore di Dante, a
suo tempo famoso per un “Viaggio critico all’Etna”, non tradotto, 1818.
Il viaggio in Calabria doveva
essere parte di una viaggio-esplorazione nel Mediterraneo. Un progetto, 1835, nato
con non buoni auspici. Dumas ha 33 anni, ha Parigi ai suoi piedi, a mezzadria
con Victor Hugo, ed è già insoddisfatto. Ambisce a una vita di gran lusso,
invece del trantran piccolo borghese della capitale di Luigi Filippo. Progetta
allora una sorta di viaggio di studio, “un viaggio tutto di poesia, di storia e
di scienza, attorno al Mediterraneo”, chiede e ottiene una sovvenzione dal
governo, si munisce di lettere credenziali del presidente del consiglio, conte
Gérard, nonché dei ministri degli Esteri e della Marina, e a novembre del 1834
lascia Parigi per Marsiglia. Ma è solo col pittore Jadin e il cane di Jadin, Mylord,
strangolatore di gatti. Ida Ferrier, vecchia amante e futura sposa, si è
defilata. Solo si è aggregato, pretendendosi De Musset, uno scroccone, Jules Lemaitre, di cui Dumas
dovrà cancellare a Marsiglia “mille infamie” e pagare i debiti. A Marsiglia, il
13 marzo 1835, la sovvenzione del governo è revocata, “considerato che il sig.
Dumas non ha affatto intrapreso il viaggio per il quale la somma gli era
concessa”. Dumas ritorna a Parigi e lancia una società per azioni che raccolga
i 100 mila franchi del suo business plan mediterraneo. Non li raccoglie.
Hugo sottoscrive 250 franchi, il 31 marzo, Nerval mille, il 14 aprile, il Lloyd
molto di più ma non abbastanza. Non importa – tanto i soci non saranno rimborsati:
il viaggio si farà lo stesso.
Ripartenza il 12 maggio, in
compagnia sempre di Jadis e di Mylord. Con una sosta a Tolone, alla villa
Lamalgue, per scrivere il dramma “Don Juan de Marana”. Parte anche Ida Ferrier,
Dumas le ha promesso il matrimonio in viaggio. Il 5 giugno la spedizione lascia
Marsiglia per l’Italia, in vettura di posta, con Ida e Jadin.
Dopo Roma il viaggio prosegue con
una falsa identità per Dumas. L’ambasciatore di Napoli gli nega il passaporto,
per i suoi precedenti rivoluzionari. Dumas ricorre a Ingres, direttore della
Scuola Francese, che trova un borsista somigliante, Joseph-Benoît Guichard, lo
incarica ufficialmente di una missione a Napoli, e in sua vece fa partire
Dumas. Che a Napoli s’incapriccia della cantante Caroline Ungher, e con lei parte
con lo “speronare” – un po’ più grande di un gozzo - per Palermo. Ida, che
soffre il mal di mare, lasciando a Napoli. La Sicilia sarà la parte felice della
spedizione. Anche per la relazione con la Ungher, una vicenda piena di sorprese
che purtroppo Dumas non ha raccontato - mentre Ida non si sa se non si è rifatta dello sgarbo a Napoli.
La Calabria c’entra poco. Dumas è
obbligato a farsene un pezzo, da Villa San Giovanni a Cosenza, perché il Santa
Maria di Piedigrotta – lo speronare - è immobilizzato dalla bonaccia. Ne ricava
una successione di fatti e pensieri tristi,: alluvioni, terremoti, morti, vicini
e anche lontani, Murat, Bellini. Più che un viaggio è un titolo, uno dei tanti
buttati giù per far girare il denaro, poi annegati nei due volumi del “Capitano
Arena” (o “Lo Speronare”), da cui Claude Schopp l’ha riesumato.
La Calabria non fu nemmeno il lato peggiore
della spedizione. Per lo stesso Dumas, che per un quinquennio sarà oberato dai
debiti a cui sottrarsi, con gli azionisti e altri. Ne ricaverà il “Conte di
Monte Cristo”. Ma nell’immediato poca cosa: “Costumi siciliani”, “Escursioni alle
isole Eolie”, 1838, e questo “Viaggio in Calabria”, 1842.
Alexandre Dumas, Viaggio in Calabria, Rubbettino, pp.
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