Leggendo questo Voltaire oggi ci si
sorprende a pensare che la chiesa concorderebbe con ogni sua critica, ironica
ma sempre rispettosa. Specie nei punti più controversi: le persecuzioni e i
martiri. Compresa la guerra alla faziosità: nessun dubbio che “il nostro
Creatore e Padre nostro” sta con i Confucio, Solone, Pitagora, Zaleuco e
Socrate più volentieri che con i Ravaillac, Damiens, Cartouche, killer per
mania religiosa. E la “Preghiera a Dio” finale. Voltaire non era “un buon
cristiano”, come si professava (curiosamente è questa l’opinione, oltre che di Togliatti, più recentemente di Derrida, “Fede e sapere”)?
Il “Trattato” è un excursus
sull’intolleranza religiosa. Innescato da uno dei tanti “affari” di giustizia
ingiusta che occuparono Voltaire per molti anni, “Lally”, “Sirven”, “La Barre”:
l’“affare Calas” a Tolosa (il titolo intero è “Trattato sulla tolleranza, in occasione della morte
di Jean Calas”). Città già negli annali dell’intolleranza, col
guinness dei primati nella caccia alle streghe. La morte di un giovane
ugonotto, Marc-Antoine Calas, forse suicida, forse ucciso da un rivale, fu
addebitata al padre Jean, che l’avrebbe strangolato per impedirgli di abiurare
– come un altro suo figlio aveva già fatto. Il padre fu ucciso sulla ruota, un
supplizio di due ore (la rottura delle ossa e lo smembramento) e poi bruciato,
la madre, le sorelle, l’altro fratello prima carcerati e poi ostracizzati, i
beni confiscati.
Era l’anno, 1761, in cui Voltaire
aderiva alla crociata contro “l’Infame” dei “fratelli” Diderot e D’Alembert.
Contro la superstizione religiosa e l’intolleranza, e in pratica contro le
chiese, i dogmi, gli ordini. Ma senza pregiudizio anticlericale, o antiromano.
Si conduole qui, in un “Proscritto”, dell’espulsione dei gesuiti dalla Francia,
intervenuta subito dopo la pubblicazione del libello. È equanime, sempre nel
“Trattato”, contro le intolleranze dei riformati in Olanda, Francia, Inghilterra.
E nel 1761 era soprattutto in guerra col calvinismo a Ginevra.
Faticherà, per questo, a entrare
nell’“affare Calas”, come i “fratelli” gli proponevano. E anche perché
nell’“affare” non tutto era chiaro. Poi, nel 1762, ci prese gusto, anche in
funzione anticelebrativa al centenario della Sainte-Barthélémy, la strage degli
ugonotti, e per tre anni ne fece l’occupazione principale. Una sorta di
ossessione, dal 1762 al 1765, quando infine a Parigi la giustizia e il re
ridiedero i beni e l’onore alla moglie e ai figli di Jean Calas. Un successo
dovuto tutto a lui: quando si convinse della bontà della causa, Voltaire la
orchestrò al meglio in questo “Trattato”- l’affare Calas sarà la sua
requisitoria più celebre.
Ci furono approssimazioni, come
sempre, nelle prime indagini sulla morte. E le testimonianze immediate dei
presenti, i familiari, contribuirono: il corpo aveva ritrovato, dissero subito,
“steso per terra” e composto. I segni della morte furono diagnosticati di
strangolamento e non di impiccagione.
Voltaire ne fa un caso di odio religioso,
truccando a convenienza i dati. Il padre Jean ha 68 anni invece di 62. È ricco,
ma Voltaire non lo dice. È rispettato, mentre era collerico. Dà bonariamente
“una piccola pensione” al figlio cattolico, mentre gliela dà per obbligo di
legge e frappone resistenze. Ha voluto per trent’anni una serva cattolica, mentre è la legge che la impone ai riformati.
Ospita la sera del delitto un giovane di Bordeaux a cena, che poi sarà
strumentale alla riabilitazione, “noto per il candore e la dolcezza dei
costumi”. Marc-Antoine, di cui poco o nulla si sa, è il suicida designato:
letterato fallito, impossibilitato all’avvocatura, “passava per essere uno
spirito inquieto, cupo, violento”, prese a leggere tutto ciò che si è scritto
sul suicidio, confida a un amico le sue intenzioni, e un giorno che ha perduto
al gioco si impicca.
E la tolleranza? Il problema è
semplice: “Se la religione debba essere caritatevole o barbara” – oggi si direbbe,
ma anche allora: se un giudice debba essere violento o giusto. La morale pure:
“La tolleranza (religiosa) non ha mai provocato una guerra civile”. La
rilettura della Bibbia resta inadeguata e può suonare blasfema. Ma, poi, non
c’è rilettura della Bibbia che non lasci perplessi, a meno di non ritenere Dio
blasfemo, pure lui.
“Ci fosse un Cristo, vi assicuro che Voltaire
sarebbe salvato”, dirà del “Trattato” Diderot, che non era grande amico di
Voltaire, a Sophie Volland. Anche Michelet lo vedrà così, come “colui che ha
preso su di sé tutti i dolori degli uomini”, Cristo contemporaneo. Coma già
Federico II, il gran re di Prussia, “fratello” senza ma, che gli rimproverava
di “graffiare con una mano” l’Infame, “di molcirlo dall’altra”. Per
opportunismo? No, Voltaire era così. Che il “Trattato” conclude appellandosi a
fede, speranza e carità, le tre virtù teologo gali, “da buon cristiano”.
Voltaire avrebbe voluto il libello
anonimo, benché protetto dall’ironia: “Ne è autore, si dice, un buon prete”, fa
premettere: “ci sono in essa dei passi che fanno fremere e atri che fanno
scoppiare dal ridere; giacché, grazie a Dio, l’intolleranza è tanto assurda
quanto ridicola”. E più che le chiese bastona la cosiddetta opinione pubblica:
il “contagio della rabbia”, il “vile popolaccio”, e l’intreccio perverso, anche
allora, di giustizia e opinione. Infame è il secolo per Voltaire soprattutto
per la dogmatica giudiziaria. Diffusa non soltanto nelle città sanfediste ma
fino a Parigi e dentro la corte. Al punto da decapitare un giovane, il
cavaliere de la Barre, per alcune goliardate, ponendo poi il corpo decapitato
sul rogo con libri erotici da un alto, e dall’altro il “Dizionario filosofico”
di Voltaire. Tutto questo nel 1766, l’anno dopo che la “verità ristabilita”
sull’affare Calas.
Famoso è questo “Trattato” per
essere stato tradotto e pubblicato da Togliatti nel 1949. Con lo stesso feeling, seppure non dichiarato: la
mostruosa “psicologia della folla” – agitata in Italia, nota di scorcio il
leader del Pci, dai “microfoni di Dio”, dai “padre Lombardi”. Con una indiretta
conferma delle due nature, opposte, del Pci, nonché di Togliatti e Berlinguer,
del partito di opposizione, all’intolleranza e alla censura, e del partito di
governo, che demonizza ogni avversario. Così oggi il “Trattato” implicitamente
si rilegge: sostituendo alla “vera fede”, cattolica o protestante, la “questione
morale”. Un feticcio altrettanto indeterminato, anzi contradditorio, e
ultimativo, agitato come una clava, fanatico – “valgono più i magistrati che i
Calas”, si diceva a Tolosa, o “meglio lasciar mettere ala ruota un vecchio
calvinista innocente che esporre otto consiglieri della Linguadoca a
riconoscere di essersi sbagliati”.
L’edizione Togliatti ha il merito
di proporre anche le note aggiunte da Voltaire, anche se non tutte. Una, lunga,
sull’anima avrebbe meritato l’inclusione. Curiosa, fuori tema, ma precisa e
insistita, anche se in nota, al § 9. “Dei martiri”, c’è invece lo sgretolamento
dell’“Egitto”, che l’esoterismo aveva cominciato a crearsi - una lettera non
scritta ai “fratelli”.
Voltaire, Trattato sulla tolleranza, Edizioni Associate, pp. 186 € 9,90Traité sur la tolérance, à l'occasion de la mort de Jean Calas, kindle, gratuito online
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