venerdì 12 settembre 2014

La Calabria salvata, e la famiglia, due miracoli

Vincitore del Campiello 2012, un affresco generazionale lungo quattro generazioni, della storia nota dell’Italia, l’ultimo secolo, dalla prima guerra mondiale al fascismo, alla seconda guerra con la Liberazione, la Repubblica, l’emigrazione in Francia e Germania, e il boom che non si dice - la cooperativa agricola, la figlia archeologa. Che salverà, forse, la “collina del vento” sotto la quale Paolo Orsi voleva trovare all’inizio della storia l’antica Krimisa. Un idillio familiare nel mezzo del male, di unità e coraggio insieme, nel filone degli storioni familiari, di cui il popolo è ghiotto. Ma specialmente legato alla Calabria, quale è tutta la narrativa di Abate, nel filone di Répaci piuttosto che di Alvaro – qui anche al Trentino, dove Abate vive (Orsi veniva da Trento). Una narrativa annalistica, di testimonianza in controluce di alcuni fatti, l’emigrazione soprattutto ma non solo, e una testimonianza a futura memoria.
Un atto d’amore anche: “Questi luoghi sono ricchi fuori e dentro… Solo chi è capace di amarli sa capirli e apprezzarli. Gli altri sono ciechi o ignoranti. O disonesti e malandrini”. Cosa che si può dire probabilmente di ogni luogo e persona, ma Abate vuole che si sappia. La Calabria salva, senza i baroni mafiosi, e la famiglia: due scelte coraggiose.
Abate ha scelto una scrittura piana documentaristica. Forse pedagogica. Ma non dei fatti, le persone e i luoghi narrativi, che restano nel paradigma sociopolitico: la povertà diventa miseria perché è irrimediabile, ed è irrimediabile perché i cattivi regnano, invidiosi, prepotenti, mafiosi . Che non è verro ma è consolante, collima con una certa memoria, costruita dopo. Mentre è una malattia di dentro, ed è il problema del Sud, altrimenti ricchissimo, non ultimo d’intelligenza – flessibilità, iniziativa, adattamento, costanza.
Carmine Abate, La collina del vento, Numeri Primi Mondadori, pp. 260 € 13 

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