Undici novelle, le prime dello
scrittore, purtroppo elzeviristi che. Ma sempre vive, d’intelligenza. Lo
scrittore stesso, in quanto “Alessandro Rossi”, s’interroga, nelle “Memorie”
aggiunta alla raccolta, benché giovanissimo, novant’anni fa, in questi termini
profetici: “La letteratura moderna s’è messa alla pari con le cose i tutti giorni, non ci sono più personaggi come ai
tempi della mia gioventù, e quando leggete un libro non uscite fuori della
vostra seggiola e dalle quattro mura di casa” – di che altro si scrive oggi, se
non di sé e dei propri cari? Per sé riservando, profetico, il viaggio – sarà,
prima di Arbasino, l’unico scrittore di viaggi del Novecento che ancora si
rilegga: “Bei tempi, quando dai Re all’ultimo cittadino facevano tutti sul
serio la loro parte”.
La narrativa breve è stata
funestata nel Novecento dalla misura dell’elzeviro, due colonne di quotidiano,
il racconto di apertura della “terza pagina”. Genere meritorio, per sovvenire
ai legittimi bisogni alimentari degli scrittori. Ma obbligato, nella misura e
anche nelle tematiche, chiaroscurali, accennate più che risolte. Nelle
tonalità, crepuscolari. Nell’indefinitezza. Ghirigori – “rigaggio” in gergo
giornalistico.
Questi di Alvaro sono diversi in
quanto sono i suoi primi racconti, pubblicati a 25 anni e, dopo studi erratici,
la guerra al fronte, la parziale mutilazione, molto professionali.
L’introduzione di Giuseppe Rando ha il pregio di avviare a sistematicità la
narrativa di Alvaro. Qui rintracciando quattro dei suoi temi ricorrenti: il
sesso, il paese, la città, la guerra. Ma il paese è prevalente. Nelle tante
immagini del padre e dei fratelli. E nella figura del segretario comunale
onnipotente annientato dal torrente – uno degli affluenti del Bonamico non
tanto benevoli d’inverno a San Luca.
Corrado Alvaro, La siepe e l’orto, Iiriti, pp. 204 ril.
€ 16
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