Un libro “su” Corbin, di metodologia
corretta della fenomenologia religiosa – la divinità si manifesta a chi ha fede,
all’“uomo di fede” di Kierkegaard: ”L’uomo di fede non è colui che una volta
per tutte si riconosce colpevole davanti a Dio, ma colui che, come Giobbe,
combatte per Dio contro Dio”. È la verità al fondo del saggio, e quello che ne
rimane.
“Sophia eterna” è titolo redazionale per
la lunga, argomentata, l’unica non distruttiva, recensione che Corbin dedicò nel
1953 al saggio scandaloso di Jung, “Risposta a Giobbe”. Benché giovane rispettoso
delle gerarchie, Corbin fu esplicito nella difesa. “Riposta a Giobbe”, scrive,
“con le emozionanti pagine consacrate da Jung al dogma dell’Assunzione della
Vergine (nella sua verità letterale e, come
tale, non fisica)” è una rifondazione: “Esistono l’esperienza, gli avvenimenti
e le verità fisiche, ed esistono l’esperienza, gli avvenimenti e le verità psichiche”. Uno. Due, Jung allarga la
realtà alla Sophia. Yahweh si manifestò a Giobbe come Dio di giustizia e
d’ingiustizia. Giobbe alla fine si dichiara vinto ma non è convinto. L’Antico
Testamento gli darà una riposta, continua Corbin citando Jung, con “l’idea di
Sophia o Sapienza di Dio (Sapientia Dei),
di uno Spirito (Pneuma) di natura
femminile, potremmo dire un’ipostasi coeterna, preesistente alla
Creazione”. Derivata, aggiunge di suo, dalla Sophia greca e dalla Shakti indiana, cioè da “un complesso
(gnosi, manicheismo, alchimia, etc.) il cui significato è stato analizzato
progressivamente da suoi specifici studi, ora illuminato nella «persona» di
Sophia”.
La risposta junghiana a Giobbe ”delinea
una straordinaria fenomenologia della religione sofianica”. La fenomenologia di
Jung è quella dell’anima: “Dalla domanda di Giobbe, rimasta senza risposta,
all’annuncio del regno della Sophia
eterna, che magnifica con un senso teologicamente imprevisto la recente
proclamazione papale del dogma dell’Assunzione della Vergine Maria, è stata
innalzata una fenomenologia senza precedenti”. Nella scia di Kierkegaard, “il
Giobbe cristiano”, “che attirava giovani filosofi all’avventura della
soggettività come verità”. Nel circolo di Eranos a Ascona che Corbin si pregia
di avere frequentato con profitto per la presenza fisica o aleggiante di Jung. E
“col p. Sergej Bulgakov, araldo della Sophia e del pensiero sofianico”, di
Berdjaev, di Florenskij.
Islamologo esoterista, specialista del
sufismo e lo sciismo, Corbin frequentò assiduamente Jung nelle sue conferenze a
Zurigo, Ascona, Küssnacht, Bollingen, e lo vuole ascritto, anche lui, allo
“spirito di Eranos”. Da psicologo, quindi da scienziato, e non da metafisico
quale Corbin si professa, ma con una comune identità di vedute. Anche perché lo
psicologo Jung Corbin accula a più riprese ai suoi interessi metafisici, degli “Studi
sull’alchimia” e di “Psicologia e alchimia”.
Si riproponeva in quegli anni il
problema del male assoluto. Di Dio e il male. Che Jung superava proponendo una
necessaria Sophia, una presenza archetipica di un’alleanza ininterrompibile tra
il divino e l’umano. Corbin trova a Jung un retroterra nel sofianismo – lo
spirito femminile, maternale – della filosofia “ortodossa” di Florenskij e Bulgakov.
Henry Corbin, La Sophia eterna, Mimesis pp. 79 € 4,90
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