C’era la “casta” politica già cinquant’anni
fa – il romanzo è del 1964-65. Modesta: la Camera dei Deputati è “verbosa, borghese
e superflua”. In un paese già allora irretito nelle chiacchiere inutili: “In
Italia la gente vive di chiacchiere, si consuma in chiacchiere. Tutto finisce
in chiacchiere, che razza di paese”.
È il romanzo più lungo di Morselli, il
doppio degli altri. Il più elaborato anche, e il più direttamente politico. Non
in senso antipartito. Oggi sarebbe anzi l’esame di coscienza più geuino e
leale, oltre che proficuo, del veterocomunista. Walter Ferranini, 45 anni,
deputato di base, militante di Spagna, fuoriuscito in America, autodidatta, scientista,
appassionato di Darwin quanto di Marx, manager, ha scritto un saggio, “Lavoro,
mondo fisico, alienazione” che lo mette in posizione “deviazionista” nel Partito:
il lavoro è maledetto, il lavoro non riscatta e non si riscatta. Siamo nel
1958-59, dopo la destalinizzazione non tutto era destalinizzato. Moravia invece
– sì, lui - lo sostiene e pubblica il saggio su “Nuovi Argomenti”.
Non è un’idea peregrina, quella del compagno
Ferranini – Morselli è narratore-pensatore, un po’ filosofo. Il Lavoro come
operosità è: 1) “Una condizone universale e insopprimibile”, 2) Senza riscatto:
“È una schiavitù, si è sempre saputo”, e “la schiavitù del lavoro rimane”, anche
senza sfruttamento, “in quanto necessità fisica”. Col lavoro “rimane la sofferenza,
che è il suo aspetto soggettivo”.
Si può finire così per un’idea? Morselli
sì. Calvino non solo rifiutò di pubblicare il romanzo, ma lo fece nel modo
peggiore, lodandolo. Gli scrisse una lunga lettera, autografa, il 5 ottobre
1965, molto elogiativa, ma con la premessa che a lui i romanzi politici non
piacciono: “La lettura dei manoscritti è un lavoro suppletivo,
ed è anche un lavoro - devo dirglielo subito - che, quando si tratta di romanzi
politici, faccio senza nessuna speranza…. Le ho detto questo prima, come avrei
potuto dirglielo prima di leggere il Suo romanzo: insomma è chiaro che gran
parte del mio giudizio è basato su questo a-priori”. In realtà, il romanzo è
piaciuto: “Ci ho preso gusto e mi ci sono arrabbiato, non rimpiango il tempo
che ho impiegato a leggerlo, posso dire che mi ha mosso pensieri e ci ho
imparato”. Ma non lo pubblicherà. No per l’a-priori, che non ha messo in atto,
per esempio, con Fenoglio. Una riserva è probabilmente decisiva: “Dove ogni
accento di verità si perde è quando ci si trova all'interno del partito
comunista; lo lasci dire a me che quel mondo lo conosco a tutti i livelli. Né
le parole, né gli atteggiamenti, né le posizioni psicologiche sono vere”. Sono
vere invece per il rilettore di oggi. Le uniche vere, quella americane ed emiliane
sono di maniera.
Alla rilettura questo “Comunista” prende solo a tratti,
molto è roba inutile. Ma sono proprio quelli politici, se appena appena si è sensibili
alla politica – è il romanzo che Arbasino o Scalfari, letterati veri deputati
per caso, (non) scriveranno. Una politica triste, di ubbie e preconcetti, fra
trattorie dal vino acido e pensioni che sanno di chiuso. Togliatti è Maccagni, altri personaggi
sono a chiave. Ferranini negli Usa anticipa pure l’altro Walter, Veltroni: “Qui
c’è l’efficiency. Lo riconosce anche il grande Stalin. Nel libro «Principi del
leninismo» dice: “Lo spirito rivoluzionario russo deve unirsi alla
organizzazione americana”. Se non che l’organizzazione è del Partito, ed è l’unica
cosa che il Partito sa fare: “La Curia (come
la chiama Maccagni) brava gente occupatissima a tenere su la baracca, a mandare
avanti il tesseramento, l’organizzazione, la stampa, le ispezioni…”. La linea è
dettata da qualche russo – “Vinicenko dice…”. Le cooperative sono “scimmie del
capitalismo.
È anche – sembra impossibile – l’unico
romanzo sul Pci, che pure tanto è stato, è, nell’anima degli scrittori
italiani. Dopo Calvino, Morselli propose il romanzo a Cesarano, che era del Pci
e ne era stato espulso. Giorgio Cesarano era alla Rizzoli, e gli fece un
contatto. Poi Cesarano fu licenziato, e il contratto fu disatteso. Nel 1975
Cesarano si ucciderà, due anni dopo Morselli, uno prima dell’uscita de “Il
Comunista” nel 1976. Il quarto libro postumo uscito in due anni, per il successo
istantaneo dello scrittore inedito dopo morto – “Il comunista” lo ha raffreddato.
Nel suo stile piano, Morselli ha pure
già la questione ambiente. Ferranini prova a uscire dal pantano romano tornando
dalla moglie che ha lasciato negli Usa. Dove però non si ritrova, ma apprezza
che si rispettino gli alberi, lasciandoli invecchiare e anzi coltivandoli,
invece di abbatterli come in Italia.
Guido Morselli, Il comunista
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