Vent’anni fa, giorno più giorno meno, si registrava:
“Clinton ha scelto Reagan:
sregolatevi, indebitatevi, arricchitevi. Ha tergiversato per un anno e mezzo
sull’ipotesi di accelerare la crescita con le riforme sociali, per esempio con
l’investimento nell’istruzione, anche nella sanità. Ma senza probabilmente
crederci, giusto per pagare un tributo agli elettori che lo hanno preferito a
Bush, repubblicano non reaganiano. Con convinzione ha poi decretato la fine del
“welfare come lo conosciamo”, con tagli incisivi alla spesa.
Non è la sola novità: la deregolazione
del settore finanziario, l’altra novità, è potenzialmente più esplosiva. Banchieri
e affaristi potranno fare quello che vogliono, la vigilanza è in pratica
inesistente. E l’effetto immediato s’è visto: il credito galoppa. Tutto questo
è democratico, non si può eccepire a Clinton: ora vanno in banca anche i
piccoli, se non i poveri, e ottengono credito. Ma se per investire o migliorare
socialmente, nella casa, l’istruzione, le assicurazioni mediche, ancora non si
sa. Quello che si sa è che i ricchi pagano meno tasse, meno che con Reagan, basta
che diventino finanzieri. Mentre ipoteche sono segnalate di secondo e terzo
grado, su immobili anche modesti, per pagarsi le vacanze o la Borsa, concepita
come un roulette”.
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