Un Moravia multitasking non è la
sola perla - perfetto come sempre nell’umore e le camiciole, anche nel fango e
l’abbandono, pedagogo, ultimativo, forse ingenuo, antropologo di una
“popolazione” del lago Turkana in Kenya che forse conta cento persone e vive di
turismo, delle foto coi turisti. Il Kenya imbarbarito, l’Albania ingentilita,
le tortura sulle donne, ancora vent’anni fa, il tempo di queste corrispondenze,
in Africa e in America Latina, la “nerezza africana”, la notte, tanti orizzonti
si schiudono in breve. O il Giappone “paese della lealtà e della cortesia”. E
come l’emigrazione improvvisamente fu regolata in Albania – in doloroso
contrasto, a leggerne oggi, coi traffici dalla Libia. Ma così per caso, anzi di
malavoglia.
È un libro che amareggia, per
quello che avrebbe potuto essere e non è. Di corrispondenze d’occasione, per inviti
a lezioni, convegni, conferenze di università esotiche e istituti di cultura
italiani, necessariamente farcite di ringraziamenti e deprecazioni (l’Italia
non fa abbastanza…). Il viaggio attrae in età Dacia Maraini, nata nomade – a un
anno emigrata in Giappone con gli avventurosi genitori, dove fece la guerra,
per tornare e imparare l’italiano a nove anni. Viaggiatrice anche frequente,
anche con Moravia e Pasolini, che avrebbe fatto una felice anomalia nell’insapore
letteratura di viaggio made in Italy, e invece ne scrive per obbligo.
L’altrove seduce e respinge. Il
viaggio è come una qualsiasi uscita fuori casa, un concerto, un teatro, un
tempo anche il cinema, lo stesso pranzo domenicale dai nonni, o la gita fuori
porta. C’è voglia di novità, naturale, umana. Innaturale è semmai il sé
pesante, che lo scrittore italiano favorisce e anzi coltiva, perfino nelle
situazioni remote e estreme: ricordi, sensazioni (“maddalene”), nostalgie,
storioni familiari, autoincensamenti, magari sotto forma di deprecazione. La
scrittura dell’ombelico. Maraini è, avrebbe potuto essere, un’eccezione.
Dacia Maraini, La seduzione dell’altrove, Bur, pp. 178 € 8,90
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