Dante - “Provando e riprovando”, il
motto del’Accademia del Cimento che intende rinnovare con Galileo il pensiero
scientifico, è di Dante, “Paradiso”, III, 3
Donna –
“Barbara lo ascoltava aggrottando le ciglia. Cercava nelle parole di Dale un
significato molto vicino, a lei e per lei; e non tanto nelle parole, quanto nel
modo. Ascoltava come un donna, non pensando
a quello che egli diceva, ma notando i timbri di quella voce come se avessero
un significato più eloquente delle parole”. Corrado Alvaro, “L’uomo è forte”,
p. 65. La differenza dei generi non era male.
Galileo – Italo Calvino ha rintracciato
nella narratività di Galileo il mezzo per passare dall’esperienza al
ragionamento, dalle figure del mondo a quelle del discorso. Cassirer,
“Individuo e cosmo nel Rinascimento”, ci trova altrettanta fantasia creativa
che in Leonardo. Gentile, “Studi sul
Rinascimento”, che lo condanna per non essersi opposto alla chiesa,
l’ha elevato, prima di Calvino, a
fondatore della lingua italiana, dopo Machiavelli, della lingua realista e
reale, di chi scrive come vede e sente.
Fu subito materia poetica. La sue scoperte fanno
la “poesia della luna” nell’“Adone” di Marino. Imbattendosi in Galileo John
Donne abbandona nell’“Ignatius” la satira del mondo moderno per l’elegia: “L’uomo
ha tessuto una grande rete e l’ha gettata\ Sui cieli, ed i cieli ora gli
appartengono”. Milton non troverà parole adeguate nel “Paradiso terrestre”:“E
ai suoi occhi apparirono\ I segreti dell’Abisso antico – un tetro\ Oceano senza
limiti, senza confini,\ Senza dimensioni”.
È stato avversato più dai laici che dalla chiesa.
Al suo tempo dagli aristotelici. Nel Novecento, secolo progressista, dai
marxisti, o ex. Per lo più epistemologi.
In “Studi galileiani” e nell’“Introduzione a
Platone” Alexandre Koyré ha svolto indagini faticose per dimostrare che Galileo
sperimentava in realtà poco e non ha inventato nulla. Senza peraltro porsi il
tema dell’invenzione – il grande epistemologo scende al livello di chi s’ingegna
a dimostrare che Omero era in realtà una donna, o Shakespeare la regina
Elisabetta, e che Colombo non fu lui a “scoprire” l’America, e se fu lui, era
genovese o castigliano (oggi catalano?)? Richard S. Westfall, autore di un “Galileo
Reappraised”, dietro il nome non trova che un cortigiano, un millantatore, e
anche un barone universitario, che si appropria dei lavori degli allievi.
Nell’“anarchismo” di Paul Feyerabend, quello di “Contro il metodo” e della “Scienza
come arte”, della nessuna differenza tra scienza e mito, nonché, con altrettale
leggerezza, del marxismo-leninismo – a lui sconosciuto - come sola scienza,
Galileo è il “rivoluzionario esemplare”, cioè approssimato. Di razionalità “elementare”,
compensata da un’alta capacità propagandistica.
Non lo amava neppure Brecht, che riscrisse più
volte la sua “Vita di Galileo”. Dall’ipocrisia alla disonestà, non c’è termine
negativo risparmiato nei “Sonnambuli” di Arthur Koestler, un volumone di polemica
spiritualista ma pur sempre di un marxista, per quanto pentito. È in Koestler pure la teoria del pateracchio,
che poi sarà di Redondi, “Galileo eretico”, all’incirca in questi termini: “Galileo
con le sue provocazioni ha favorito la reazione contro la sinistra (sic!), cioè
contro i gesuiti, e l’unica strategia possibile, quella dei piccoli passi”.
Italiano – È memoria e
pratica confinate all’estero, tra gli italiani emigrati. E, tra gli emigrati,
tra quelli anglosassoni, american, australiani, canadesi. Con la sola eccezione
del “germanese” Carmine Abate.
I tantissimi italiani di Argentina o Brasile, italianissimi nel
cuore, non ne sanno più d tanto. Ma è un fatto, delle culture anglosassoni che
privilegiano la memoria, mentre le latine la rifiutano o la immiseriscono, per
smania di modernizzazione. Succede anche in Francia.
Matrimonio - Il padre
di Šklovskij, ebreo battezzato, che la moglie abbandonò col primo figlio, si
trafisse da parte a parte con una daga, sopravvisse, si risposò, ebbe Viktor, e
dopo una trentina d’anni s’accorse, insieme con la seconda moglie, che si
amavano.
C’è “La
scuola delle mogli” di Gide, che però non può dirsi un marito. Ma “un
matrimonio”, lo dice Tolstòj che se ne intendeva, “contratto con la speranza di
una vita piacevole, è votato al fallimento”. Dei tredici o quattordici figli
sopravvissuti l’autore della “Sonata a Kreutzer”, nonché di “Felicità familiare”,
e pedagogo dei mužiki appassionato,
fu padre senza gioia. Lamentava
che lo rendessero “più vulnerabile”. Perché non poteva essere più figlio, avere
il monopolio dell’affetto della moglie madre e la sua totale disponibilità, pur
scopandola intensamente. Forse per questo insiste nella “Postilla” che
“non c’è mai stato e non può esserci matrimonio cristiano”. La moglie lo contraddisse
dal primo all’ultimo giorno della lunga vita insieme. È vero ch’egli le aveva
imposto la lettura del suo minuzioso “Diario”, dove ogni scopata al casino e
con le serve è censita. I
pedagoghi del resto non sono buoni padri, Rousseau, Tolstòj.
La salvezza è semplice, secondo san Luca: “Se
uno non viene a me e non odia il padre e la madre, la moglie e i figli, e i
fratelli e le sorelle, non può essere mio discepolo”. Ma bisognerebbe avere
tutti questi parenti, per potersene liberare. Se mancano, diventano
ingombranti. È per questo che i figli naturali sono tristi?
Paternità - Il cadavere imbalsamato di Imbonati, che
volle essere sepolto in una sua proprietà, Manzoni esumò all’insaputa della
madre dopo qualche anno e riseppellì fuori della tenuta, costruendovi sopra un
pollaio. Manzoni non è antipatico, il padre gli mancò, non ci sono padri nel
romanzo. Fece pure tanti figli, senza essere loro padre. Ma fu fortunato:
bastardo, ritrovò la madre – da cui anzi dovette affrancarsi.
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