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mercoledì 3 settembre 2014

Letture - 183

letterautore

Dante - “Provando e riprovando”, il motto del’Accademia del Cimento che intende rinnovare con Galileo il pensiero scientifico, è di Dante, “Paradiso”, III, 3

Donna – “Barbara lo ascoltava aggrottando le ciglia. Cercava nelle parole di Dale un significato molto vicino, a lei e per lei; e non tanto nelle parole, quanto nel modo.  Ascoltava come un donna, non pensando a quello che egli diceva, ma notando i timbri di quella voce come se avessero un significato più eloquente delle parole”. Corrado Alvaro, “L’uomo è forte”, p. 65. La differenza dei generi non era male.

Galileo – Italo Calvino ha rintracciato nella narratività di Galileo il mezzo per passare dall’esperienza al ragionamento, dalle figure del mondo a quelle del discorso. Cassirer, “Individuo e cosmo nel Rinascimento”, ci trova altrettanta fantasia creativa che in Leonardo. Gentile, “Studi sul Rinascimento”, che lo condanna per non essersi opposto alla chiesa,  l’ha elevato, prima di Calvino, a fondatore della lingua italiana, dopo Machiavelli, della lingua realista e reale, di chi scrive come vede e sente.

Fu subito materia poetica. La sue scoperte fanno la “poesia della luna” nell’“Adone” di Marino. Imbattendosi in Galileo John Donne abbandona nell’“Ignatius” la satira del mondo moderno per l’elegia: “L’uomo ha tessuto una grande rete e l’ha gettata\ Sui cieli, ed i cieli ora gli appartengono”. Milton non troverà parole adeguate nel “Paradiso terrestre”:“E ai suoi occhi apparirono\ I segreti dell’Abisso antico – un tetro\ Oceano senza limiti, senza confini,\ Senza dimensioni”.

È stato avversato più dai laici che dalla chiesa. Al suo tempo dagli aristotelici. Nel Novecento, secolo progressista, dai marxisti, o ex. Per lo più epistemologi.
In “Studi galileiani” e nell’“Introduzione a Platone” Alexandre Koyré ha svolto indagini faticose per dimostrare che Galileo sperimentava in realtà poco e non ha inventato nulla. Senza peraltro porsi il tema dell’invenzione – il grande epistemologo scende al livello di chi s’ingegna a dimostrare che Omero era in realtà una donna, o Shakespeare la regina Elisabetta, e che Colombo non fu lui a “scoprire” l’America, e se fu lui, era genovese o castigliano (oggi catalano?)? Richard S. Westfall, autore di un “Galileo Reappraised”, dietro il nome non trova che un cortigiano, un millantatore, e anche un barone universitario, che si appropria dei lavori degli allievi.
Nell’“anarchismo” di Paul Feyerabend,  quello di “Contro il metodo” e della “Scienza come arte”, della nessuna differenza tra scienza e mito, nonché, con altrettale leggerezza, del marxismo-leninismo – a lui sconosciuto - come sola scienza, Galileo è il “rivoluzionario esemplare”, cioè approssimato. Di razionalità “elementare”, compensata da un’alta capacità propagandistica.
Non lo amava neppure Brecht, che riscrisse più volte la sua “Vita di Galileo”. Dall’ipocrisia alla disonestà, non c’è termine negativo risparmiato nei “Sonnambuli” di Arthur Koestler, un volumone di polemica spiritualista ma pur sempre di un marxista, per quanto pentito.  È in Koestler pure la teoria del pateracchio, che poi sarà di Redondi, “Galileo eretico”, all’incirca in questi termini: “Galileo con le sue provocazioni ha favorito la reazione contro la sinistra (sic!), cioè contro i gesuiti, e l’unica strategia possibile, quella dei piccoli passi”.

Italiano – È memoria e pratica confinate all’estero, tra gli italiani emigrati. E, tra gli emigrati, tra quelli anglosassoni, american, australiani, canadesi. Con la sola eccezione del “germanese” Carmine Abate.
I tantissimi italiani di Argentina o Brasile, italianissimi nel cuore, non ne sanno più d tanto. Ma è un fatto, delle culture anglosassoni che privilegiano la memoria, mentre le latine la rifiutano o la immiseriscono, per smania di modernizzazione. Succede anche in Francia.

Matrimonio - Il padre di Šklovskij, ebreo battezzato, che la moglie abbandonò col primo figlio, si trafisse da parte a parte con una daga, sopravvisse, si risposò, ebbe Viktor, e dopo una trentina d’anni s’accorse, insieme con la seconda moglie, che si amavano.

C’è “La scuola delle mogli” di Gide, che però non può dirsi un marito. Ma “un matrimonio”, lo dice Tolstòj che se ne intendeva, “contratto con la speranza di una vita piacevole, è votato al fallimento”. Dei tredici o quattordici figli sopravvissuti l’autore della “Sonata a Kreutzer”, nonché di “Felicità familiare”, e pedagogo dei mužiki appassionato, fu padre senza gioia. Lamentava che lo rendessero “più vulnerabile”. Perché non poteva essere più figlio, avere il monopolio dell’affetto della moglie madre e la sua totale disponibilità, pur scopandola intensamente. Forse per questo insiste nella “Postilla” che “non c’è mai stato e non può esserci matrimonio cristiano”. La moglie lo contraddisse dal primo all’ultimo giorno della lunga vita insieme. È vero ch’egli le aveva imposto la lettura del suo minuzioso “Diario”, dove ogni scopata al casino e con le serve è censita. I pedagoghi del resto non sono buoni padri, Rousseau, Tolstòj.

La salvezza è semplice, secondo san Luca: “Se uno non viene a me e non odia il padre e la madre, la moglie e i figli, e i fratelli e le sorelle, non può essere mio discepolo”. Ma bisognerebbe avere tutti questi parenti, per potersene liberare. Se mancano, diventano ingombranti. È per questo che i figli naturali sono tristi?

Paternità - Il cadavere imbalsamato di Imbonati, che volle essere sepolto in una sua proprietà, Manzoni esumò all’insaputa della madre dopo qualche anno e riseppellì fuori della tenuta, costruendovi sopra un pollaio. Manzoni non è antipatico, il padre gli mancò, non ci sono padri nel romanzo. Fece pure tanti figli, senza essere loro padre. Ma fu fortunato: bastardo, ritrovò la madre – da cui anzi dovette affrancarsi.

La paternità Joyce nell’“Ulisse” fa dire a Stephen “ignota all’uomo”, eccetera: “L’Amor matris, inteso soggettivo e oggettivo, questa è forse l’unica cosa vera nella vita”. È inutile quindi uccidere il il maschio, il padre? Ne va di tutto Freud.

letterautore@antiit.eu


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