L’M I 6 è in guerra con l’Eni. Dapprima per
Kashagan, il giacimento in Kazakistan, una guerra ormai quasi quindicinale. Poi
con la Saipem, che prendeva troppi contratti ai danni dei costruttori
britannici in Nord Africa, e tentava di entrare nel Golfo, nei ricchissimi emirati.
Ora per la Nigeria: ha preso uno dei tanti nigeriani a Londra percettori di
tangenti e l’ha denunciato, facendolo immancabilmente condannare. Ma non era il
nigeriano l’obiettivo.Tutto
quello che non va bene alla British Petroleum non va bene all’M I 6. Che è il servizio
di spionaggio britannico all’estero. Civile. Alle dipendenze del Foreign
Office. Che la politica estera concepisce in funzione del business – anche le
guerre, in Iraq, Libia e altrove. Con l’ausilio dell’“Economist Intelligence
Unit”, dell’“Economist” e, in minor grado, del “Financial Times”. E di notorie ong a copertura.
Anche
la guerra è un falso scopo – quando si minaccia è per non farla. L’M I 6 non vuole
colpire l’Eni, vuole metterlo in guardia. Non ci sono prove contro l’Eni, l’M I 6, se anche le ha, non le porta: forse la licenza è sopravvalutata, o il
giacimento (non si sa se l’Eni acquisì un permesso di ricerca o un giacimento
già perimetrato, né si sa se il mliardo di cui è questione è il costo del giacimento\licenza o la tangente), forse la provvigione era una tangente, forse la tangente era
anche per i dirigenti Eni, forse. In Nigeria come già per il Kazakistan Londra vuole che l’affare
non si ripeta.
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