Un film duro, cupo, di
violenza totale, anche a Milano, in Lomellina, a Amsterdam. Dall’inizio alla
fine, anche negli esterni e nelle ambientazioni, grigie, desolate. Segnato a
ogni scena dalla distruzione, delle cose, gli animali, le persone. E i santi,
le case, le automobili “tedesche”, il tempo atmosferico. Senza legge, né
statale né morale, nemmeno familistica come si favoleggia, solo quella hobbesiana
del lupo predatore. Anzi nemmeno quella, poiché non c’è nessuna ratio animale. Non c’è uno scopo e non
ci sono relazioni: una vita pre-animale – chissà come si sente Gioacchino
Criaco che ha scritto il romanzo dallo stesso titolo, autore di radici e
formazione confessionali (o è questa la nuova religione?).
Sembra un film di fantascienza, con
umani invece di androidi, ma altrettanto “agiti”, automi. Perfino esagerato,
iperreale: una serie di maquettes che fanno sussultare, i corpi
brutti, i colori stagnati, la convivialità squallida, ogni suono una
bomba, sia pure una porta che si apre. Con un finale incongruo. O un film
d’autore di serie B – di culto, c’è chi vuole sentirsi solo. Non fosse per gli
interpreti, specie Marco Leonardi, l’ex bambino di “Cinema Paradiso - e per la
curiosità di Peppino Mazzotta in un ruolo vero, benché sfocato, invece del
Fazio di “Montalbano”.
Un film
claustrofobico, cui contribuiscono i dialoghi nel dialetto stretto
dell’Aspromonte, sintetico, gnomico, parasintattico. La vera forza del film –
forse è qui l’intervento di Criaco - che però è tutt’altra storia. Benché si
privi della comunicazione muta (gestuale, facciale) che al cinema viene bene e
fa la forza dei capolavori del genere, di Coppola, Scorsese, Ferrara.
È il film su cui ha puntato la Rai per il festival di
Venezia. Lodato dai critici a Venezia e dopo (non, a ben leggere, senza
riserve), fa pochi spettatori, ma non senza ragione. Non è folklorico
nell’impianto - l’Aspromonte, la Calabria, la ’ndrangheta - ma finisce per
esserlo come storia criminale. L’unica cosa vera, un tratto di realismo reale, è
che i Carabinieri sempre se la prendono con la vittima. Oltre ai ragazzi che
sparano voluttuosi (“Gomorra”).
Francesco
Munzi, Anime nere
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